10 novembre 2017 – QUARTA UDIENZA PROCESSO BALLESTRI
Riguardando gli appunti presi durante le ultime udienze, c’è un participio passato, e aggettivo, che svetta fra gli altri: DISONORATO.
In cinque ore di interrogatorio, il nuovo compagno di Giulia ha riferito le parole che l’imputato ripeteva ossessivamente alla moglie, come avevano già detto sia il fratello, sia l’amica di Giulia, nelle scorse udienze.
Disonorato: “Che ha perduto l’onore, irrimediabilmente menomato nel prestigio o nella dignità”. (Garzanti Linguistica)
Onore: “Onore non è altro, che rendimento di riverenza in testimonianza di virtudi”. (Jacopo da Cessole, un frate domenicano, nel 1300).
Onore che l’imputato, a sentire le parole di Giulia, temeva di perdere. Non voleva essere disonorato.
Parole di Giulia che fanno apparire l’imputato tutt’altro che un uomo pieno di “virtudi”, a meno che non si tratti di confusione lessicale o ribaltamento di significati.
A quanto pare è disonorevole che una donna voglia divorziare, abbia un amante, voglia andare a lavorare, voglia essere libera di scegliere quali libri leggere, andare a trovare i propri genitori e il fratello, voglia mettere nel campanello anche il suo cognome da nubile, tenga nella rubrica del cellulare il nome dei propri amici, beva solo da bottiglie sigillate per paura che il marito manipoli i liquidi e che dica al suo innamorato: “se non mi senti per sette, otto ore, vieni a cercarmi”. E’ disonorevole che una donna subisca e subisca col pensiero rivolto ai propri figli.
D’altra parte invece, è onorevole che un uomo spii la moglie con investigatori privati e intercettazioni ambientali e telefoniche, che pretenda di mettere solo il suo cognome nel campanello, che faccia
terra bruciata attorno alla moglie per isolarla da amici e parenti, che la costringa ad andare dal suo amico psicologo e che si faccia riferire da questi i colloqui con la moglie. E’ onorevole che un uomo costringa la moglie a prendere dei sedativi sottostare a rapporti sessuali, per dovere coniugale, e che la minacci di sputtanarla con i figli.
E’ onorevole che un uomo incuta paura alla moglie preannunciando: “Ti farò un regalo e tu sarai libera”.
Sento, in lontananza, l’eco del famigeratonart. 587 del Codice Penale del 1930: “Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella … nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni”. Cioè il marito aveva la pena ridotta.
Sento nei discorsi riportati anche odore di ”pater familias”. Il patriarca della famiglia aveva diritto di vita e di morte su moglie, figlie e schiavi, e le botte erano semplicemente correzioni, quindi lecite.
Lo so che il “delitto d’onore”, che giustificava il femminicidio, è stato abrogato nel 1981, e che dal 1975, è stata introdotta la piena parità tra uomini e donne nella famiglia e che è stata abolita la “patria potestà”.
Io lo so, noi lo sappiamo. Lo sappiamo?
Pare che l’imputato sia uno di quelli che non lo sa.
Purtroppo, come lui, sono in troppi a non saperlo.
Ogni due giorni una donna viene uccisa da un marito, un compagno o un ex. Dall’inizio dell’anno ad oggi, in Italia, i femminicidi sono già 53. Per amore o per passione o per l’onore oppure per evocazioni spiritiche nella Villa dei Morti?
E dire che sarebbe bastato solo il rispetto per le scelte altrui per essere un uomo d’onore.