2 febbraio 2018 – DODICESIMA UDIENZA PROCESSO BALLESTRI CONTRO CAGNONI
“Stai zitta!”.
Tranquille, è solo l’ombra dell’ombra dell’altra volta.
Stavolta non l’ha detto un marito a sua moglie. Bensì un certificato medico, anche se non con queste parole. Ma il senso è lo stesso. La signora Vanna Costa soffre di un decadimento cognitivo di tipo degenerativo, di Alzheimer. Da un anno e mezzo. Cioè da luglio 2016. Quindi, è ufficiale, ciò che la signora ha detto da allora, non vale. E ciò che dirà in futuro non varrà neppure. Me ne dispiaccio sia nel caso fosse vero, sia nel caso si trattasse di una scappatoia. Intanto oggi non ha parlato. La Procura insiste e la riconvoca per la prossima udienza, il 9 febbraio.
Per farle tacere se parlavano troppo, nel senso che dicevano verità scomode, fino a non molti decenni fa, le donne venivano bruciate, torturate, marchiate, rinchiuse nelle torri e negli ospedali psichiatrici, internate, relegate nei conventi. Oggi, nel secondo millennio, si usa l’Alzheimer. E’ passato il tempo, ma i contenuti sono uguali.
Nell’udienza di oggi è di scena il “Professore universitario di grande lustro, di un altro millennio”. Così l’avvocato della difesa definisce il padre dell’imputato.
Un invito a metterci sull’attenti?
La parola di oggi è IO. Non l’io egocentrico e narcisista di cui pare soffrire l’imputato, ma l’io decisionale, l’io dell’autorità del potere. Indiscutibile.
Il Professore non è autoritario. All’apparenza è nobile e gentile. Nella sostanza esercita il potere che gli appartiene, senza alzare voce o sopracciglia: tutti gli riconoscono il rispetto che gli è dovuto. E’ quel tipo di potere che non chiede, perché è dato, in quanto lui, nella famiglia intera, è “ultimo di una serie”. E’ lui che decide e gestisce e tutto ciò che riguarda chi è del suo sangue. Il sangue della stirpe, della famiglia, del nome. Il sangue che si tramanda di padre in figlio, come il denaro e le proprietà.
Penso che, come me, la maggioranza di noi abbia letto tanti romanzi e visto parecchi film, sulle saghe famigliari. Per lo più in costume. Qualche western, soprattutto storie di mafia.
E’ il Patriarca che tiene il bandolo della matassa. Gli altri: figli, fratelli, nipoti, nuore, consuoceri, perfino le ‘domestiche’, sono al suo servizio. E, quando impartisce ordini, mai con arroganza, è ovvio che gli si ubbidisca senza discutere.
Questa è una storia di femminicidio che inizia così: la Nuora, moglie del Figlio Maggiore del Patriarca, è scomparsa da due giorni.
I suoi bambini sono in ansia, sono preoccupati per la mamma, la cercano al telefono in continuazione.
Il Patriarca e il Figlio Maggiore, invece, hanno solo una preoccupazione in testa. La Nuora è scomparsa? Loro si precipitano, alle sette della domenica sera, da Firenze a Bologna, per consultare un penalista. La Nuora ha abbandonato il tetto coniugale. E’ quindi penalmente perseguibile. E, per il Figlio, è “Un tentativo per ottenere dominanza nella gestione dei bambini”, dice il Professore. In pratica, significa portare via alla moglie anche i figli.
Una parentesi. Dominanza? Una parola inquietante che viene dalla preistoria, quando solo la dominanza garantiva la sopravvivenza della propria donna e della propria progenie. Oggi la parola è desueta, ma la dominanza è il fondamento della maggioranza delle famiglie, indipendentemente dalla ricchezza.
Il Dominus non si scompone, mai, neppure quando il Figlio Maggiore decide di spogliarsi di tutti i beni, come un novello San Francesco. Solo che la spogliazione non è a favore dei poveri, ma a favore del Fratello Minore. Il patrimonio resta saldamente di proprietà della Famiglia. Meglio ancora: resta in mano al sangue del proprio sangue. E se il Figlio Maggiore è diventato povero, diseredando così i propri figli? No problem. C’è sempre il Professore: “Davo alla cosa poca importanza, ci avrei pensato io ai nipoti, ero abituato a supportare io la famiglia”.
Tante sono le cose alle quali il Dominus non dà importanza.
Perché suo figlio, per sfuggire alla cattura della polizia, si lancia dalla finestra? La diagnosi del Professore: “Una manifestazione di follia. Un attacco di panico. Talvolta mi chiamava per delle crisi di panico, soffriva di queste cose, gli consigliavo di prendere una camomilla”. Chi sono io per mettere in dubbio l’effetto placebo di una raccomandazione paterna condita alla camomilla?
E’ sempre il Dominus a fornire la linea a tutta la famiglia su ciò che si deve dire a proposito del Figlio Maggiore accusato di aver ucciso la moglie. L’unica verità da divulgare è: “E’ stato un eccesso di rabbia. Naturalmente si dice che non è vero, che è stato qualcun altro da fuori”.
Qualcosa però lo inquieta ossessivamente. Due cuscini preziosi. Il Figlio Maggiore li ha portati da Ravenna. Sono macchiati, di cosa? Di sangue? Al professore non interessa: “Non so, ma serviva una lavanderia ad alto livello”. Alle 3 e 05 del lunedì mattina, stanco, forse affamato, certo scosso, col Figlio Maggiore in fuga braccato dalla polizia, una Nuora uccisa, il Patriarca ha un solo pensiero: va in cantina a controllare come stanno messi i due preziosi cuscini. Si tranquillizza: sono ben collocati, in mezzo a polvere e ciarpame, sani e salvi. Che siano insanguinati, poco importa, sono pur sempre stati disegnati dall’architetto Giulio Ulisse Arata, fra l’800 e il ‘900. Il Professore è sicuro di sé, meno degli altri, perciò controlla: “Solo io, so dove mettere le cose”.
In questa storia non poteva mancare la Beneficienza, che dà sempre un po’ di lustro in più alla famiglia. Sta dentro a dei sacchetti pieni di vestiti e scarpe usate, messi dietro una siepe. Ci penserà poi una Signora della Caritas a ritirarli. Tutti lo sanno. Anche la Nipote Maggiore che, dopo aver visto, nelle videoregistrazioni, suo padre scaricare dei sacchetti dall’auto, fa due più due. “Voglio sapere cos’è successo. Dove sono i vestiti della mamma?”, chiede la bambina al Nonno Patriarca. Illuminato d’immensa saggezza, guidato dalla regola che “Ai bambini non si dicono bugie”, il Professore le risponde: “Con papà siamo andati a prendere dei sacchetti, Una parte li abbiamo buttati via, una parte li abbiamo lasciati per la Caritas. So che c’erano dei vestiti, ma non ho aperto quel sacco. Non posso escludere ci fossero i vestiti della mamma”. La Nipote lo ringrazia, e va via “molto contenta”. Il Nonno ha cancellato un sospetto, insinuando un dubbio. La sua parola non si mette in discussione.
Il Dominus non accetta di buon grado di farsi dominare. Talvolta vacilla, ma solo quando si scontra con altre Autorità, istituzionalmente più forti di lui. Il poliziotto che l’ha fermato l’ha strattonato, gli ha puntato un’arma addosso, gli ha urlato: “Tu lo sai, cos’ha fatto tuo figlio?”. Ebbene, il rammarico di un vero Signore è: “Non c’era bisogno di darmi del TU”. E, oggi in aula, più di una volta il Professore ha cercato di invertire i ruoli, finendo addirittura per essere lui a porre domande alla PM.
L’entrata trionfale sulla scena del dibattimento spetta alla Giustizia. Non è ben chiaro se si intenda quella divina o quella terrena. Comunque è una giustizia buona, pacificatrice. La fa entrare il Professore: “Sono rimasto scioccato quando ho visto mio figlio dopo l’arresto, me l’aspettavo disperato per essere finito in carcere, invece ho trovato una persona calma, tranquilla come se ad un certo punto avesse risolto il problema. Era come se pensasse: le cose sono andate così, giustizia è stata fatta”. Il Presidente della Corte chiosa: “Meritata”.
Non manca nella saga neppure la comparsata di ‘albanesi’ e di ‘negri’ (poi corretto in persone di colore), che si paventa amino passare notti di bisbocce nella Villa di Ravenna, quella degli Orrori, della Morte, dei Fantasmi. La Villa dove è stata zittita e uccisa Giulia Ballestri.
E i tanti non so, e i non ricordo, come giustificarli? Noblesse oblige: “Ho due preziosi privilegi, la lucidità e l’età, 87 anni, che mi promette una assoluzione non troppo lontana”. Sua o del Figlio Maggiore? Incerta la risposta.
Il Patriarca non parla mai di onore o disonore, come ha fatto più volte il Figlio Maggiore. Lui non ha bisogno di difendere la propria onorabilità, perché nessuno può scalfirla, neppure un Figlio Maggiore in carcere con l’accusa di essere un femminicida.
Alla fine della testimonianza, il Professore si alza.
Claudicando con eleganza, s’avvicina al Presidente della Corte e gli porge la mano. Una rapida stretta. Poi, appoggiandosi al bastone, si dirige verso la Dottoressa D’Aniello, la PM, e, con un accenno d’inchino, stringe la mano anche a lei.
Che caduta di stile, Professore universitario di grande lustro, di un altro millennio, mi aspettavo, almeno, un baciamano!
di Carla Baroncelli