OMBRE DI UN PROCESSO / 16 di Carla Baroncelli

9 febbraio 2018 – TREDICESIMA UDIENZA PROCESSO BALLESTRI CONTRO
Con l’udienza di oggi, la tredicesima, in Corte d’Assise si sono concluse le audizioni dei componenti la famiglia Cagnoni.
Mi permetto di scattare una fotografia virtuale della Famiglia. Posso?
Ancora non so quali luci metterò sul set. So solo che la fotografia deve trasmettere la peculiarità e l’essenza dei personaggi ritratti.
Al centro ci va, ovviamente, il padre dell’imputato, “Professore universitario di grande lustro, di un altro millennio”. In piedi, carismatico, con l’elegante bastone a fianco. Guarda in macchina, par che ribadisca ciò che ha detto in aula la scorsa udienza: “Ho due preziosi privilegi, la lucidità e l’età, 87 anni, che mi promette una assoluzione non troppo lontana”. Un Patriarca che ha il pieno dominio della Famiglia: “Solo io, so dove mettere le cose”.
Col viso in ombra per tre quarti, leggermente nascosto dalla spalla del Patriarca, metto suo fratello: lo Zio. Si fa forte del totale plauso del Patriarca: “Noi siamo gli ultimi di una serie, poi ci sono delle deviazioni del percorso”. Sorride leggermente, come di chi gode di buona serenità, di chi non ha problemi. Qualche udienza fa si è tolto il pensiero di confondersi nel rispondere a probabili domande imbarazzanti dell’accusa: ha scelto di non testimoniare in aula.
Il Figlio Minore, Stefano Cagnoni, ingegnere informatico, lo mettiamo seduto a sinistra del padre. L’ombra del Professore gli nasconde una parte del viso. Un viso assai provato. Per ore, oggi, è stato costretto a trovare una logica alle sue stesse parole. La spoliazione dei beni da parte del fratello, ora imputato, a suo favore? “Mio fratello me l’ha chiesto e mi sembrava lo facesse stare più tranquillo”. La PM D’Aniello lo insegue: “Non si è posto il problema dei nipoti cui veniva tolta la casa?”. Come se gli fosse stata chiesta una ovvietà, il Figlio Minore risponde: “Quello che spettava ai nipoti sarebbe comunque arrivato … le proprietà della Famiglia sono di proprietà di tutti”. Il Presidente della Corte, lo invita alla concretezza : “Dunque, era un negozio simulato? Stavate giocando?” . L’ammissione è scontata: “Era ai fini della separazione”. Ma a questo punto, non essendoci più una Nuora Ribelle da punire, la difesa dell’imputato, annuncia in aula di aver chiesto la revoca degli atti notarili della spoliazione. Il Figlio Maggiore ridiventa proprietario di immobili e finanze che aveva ceduto per finta al fratello.
Proseguo con l’udienza, sempre per definire meglio i personaggi per il Ritratto di Famiglia.
Domenica sera (Giulia non dà più notizie di sé da due giorni) il Cognato non è allarmato: intuisce che sia con l’Amante. Dorme assolutamente tranquillo. La mattina dopo, cerca notizie on line: è stato trovato il corpo massacrato di Giulia e suo fratello Matteo è in carcere, con l’accusa di averla uccisa. Ora il Figlio Minore è allarmato. Alle 10.19 telefona al padre: “Cos’è stato? Un eccesso di rabbia? Il Patriarca gli risponde: “Io penso di sì. Naturalmente si dice che non è vero, che è stato qualcuno venuto da fuori”. E su quel “si dice”, l’Ingegnere informatico cerca di mettere una toppa. A Firenze è un termine dialettale che sta per “diciamo … noi si dice che … si dirà …” Un velo pietoso, per carità!
Nell’inquadratura, sul tappeto, metterei anche un giornale spiegazzato, come simbolo di ‘maleducazione civica’. Lo dice l’Ingegnere intendendo la sindrome di cui soffrono le persone comuni, che dopo aver letto i quotidiani, attribuiscono la responsabilità dei delitti all’unico indagato. Anche lui c’è caduto, quando, in un messaggio ad una amica, ha scritto: “Mio fratello è l’assassino di Ravenna”. In pratica ha sbattuto anche lui il mostro in prima pagina. Ammette di essersi stupito lui stesso di se stesso, di quel messaggio frettoloso, scritto in un momento drammatico, sotto l’influenza dai media. Ma che la sua convinzione è vacillata subito dopo, perché suo fratello si dichiara innocente, perché in carcere l’ha trovato sereno, più sereno dei tempi in cui stava in collegio. Eppoi, sulla colpevolezza del Fratello Maggiore c’è il disposto del Patriarca: “Naturalmente si dice che non è vero”.
Ma la domanda più pericolosa, quella che manda in crisi l’Ingegnere, sta nella sollecitazione del Presidente della Corte: “Se fosse stato mio padre, gli avrei chiesto: com’è successo? Lei gli ha chiesto: cosa ti ha detto Matteo? Perché è fuggito dalla finestra?” La risposta scandalizzata del Figlio Minore è: “Lei mi sta suggerendo che avrei dovuto interrogare mio padre?”.
“Basta così”, taglia corto il Presidente, in crisi di pazienza.
Da ultimo, col permesso della Corte, inserisco nella fotografia virtuale il Figlio Maggiore, nel posto assegnatogli dall’etichetta: alla destra del Padre. Oggi, sicuro della saldezza familiare, l’imputato è parso “Calmo, tranquillo come se ad un certo punto avesse risolto il problema … come se giustizia fosse fatta”.
I Nipoti, i figli del Figlio Maggiore, non ci sono, siccome è stato deciso che non entrino nel processo in corso, per rispetto, mi astengo anch’io e non li metto nella foto. Solo ora mi accorgo che in questo Ritratto di Famiglia non c’è neppure una donna. Non più. Hanno parlato troppo. Non hanno rispettato la patriarcale regola del silenzio.
La Madre è nelle sue stanze, zittita da un certificato medico. Le è accanto la sua fedele Dama di Compagnia, quella che la scorsa udienza, non ha riconosciuto la sua stessa voce al telefono.
E la Nuora? Di lei neppure un ritratto. Già, Giulia è una delle figure non gradite, una donna che non si è voluta sottomettere alla sacralità della Famiglia. E’ morta, uccisa con inaudita ferocia, affermano i medici legali che hanno eseguito l’autopsia. Il suo viso è stato cancellato con una furia omicida. Meglio cancellarla anche dai ricordi di Famiglia, immagino direbbe il Professore.
Le due Sorelle Amiche del Patriarca, che hanno testimoniato oggi, probabilmente sono sotto il tappeto come la polvere. Servono per “alleggerire le situazioni, sdrammatizzare, rassicurare”. Il loro ruolo è quello di star vicine al Professore, di ascoltarlo, ma soprattutto di “accettare senza domande ciò che dice”. Comunque non appartengono alla Famiglia Naturale, ma solo a quella Morganatica.
Non manca nessuno nella posa. Cheese …
State zitti tutti! Dove sono i cuscini verdi? Urla il Patriarca scompigliando l’inquadratura. Per la prima volta appare in ansia. E’ comprensibile, è ciò che accade quando due cuscini sono più importanti di una donna.
Il Patriarca si placa: si deve essere ricordato che i cuscini li ha sequestrati la polizia scientifica. Per portarli in tintoria per cancellare le tracce del sangue e dei capelli di Giulia, bisognerà aspettare.
Intanto ho trovato la giusta luce per la mia fotografia virtuale: una luce radente, caravaggesca, proveniente dall’alto, fuori campo, come se venisse da un lucernaio. Una luce che esalti i chiaroscuri dei visi ed evidenzi i dettagli delle espressioni. Che evochi detti e silenzi di una Famiglia dove non ci si parla come le Persone Comuni, ma per ruoli prestabiliti.
Zitti tutti! Sorridete. Click.
Ecco fatto il Ritratto di Famiglia. Ingrandisco la foto sul mio desktop.
C’è qualcosa che vien fuori dalla tenda dello sfondo. Una mano? Ingrandisco il dettaglio: è la mano di bambina. Intuisco anche una figuretta accoccolata per terra. Sento il suo pianto sommesso.
Improvvisamente, però, il dito indice di quella manina si protende verso l’alto per fare una domanda: “Perché è stata uccisa la mia mamma?”