Oggi parto da un’ipotetica rassegna cinematografica: UN FEMMINICIDO OGNI 60 ORE.
Il primo film, intitolato MI HAI DISONORATO per la regia di Corrado Schiaretti, Presidente della corte, e Cristina D’Aniello, la PM, è stato mostrato nelle precedenti diciotto udienze del processo.
In sintesi il film racconta di un marito che uccide la moglie. Un femminicidio. Lui, dermatologo, rampollo di una nota famiglia patriarcale massonica. Lei una donna in evoluzione alla ricerca di rispetto e amore. Sposati da dodici anni. Tre figli di undici anni, la femmina, nove e sei, i maschi. Da un anno e mezzo la crisi coniugale. Lui agisce oppressione, controlli, manipolazioni, costrizioni e divieti. Lei non ne può più, si vuole separare. Lui si spoglia di ogni bene in favore del fratello. Lei ha incontrato un altro uomo. Un nuovo amore che la ricarica. Lui si consola comprando sesso qua e là. Il pressing del marito si arma di investigatori e GPS. La prova del tradimento acuisce la crisi con minacce e ricatti alla moglie. “Mi hai disonorato. Ti distruggo”, le urla il marito. Lei si confida con parenti e amici. Ognuno, a loro modo, sminuisce il problema invitando alla pazienza. Il marito la costringe ad avere rapporti sessuali con lui, mentre lei fa finta di “essere morta”. Ubbidisce per paura che lui le porti via i figli. L’accordo di separazione si rivela una trappola. Come una trappola è accettare, tre giorni dopo, di accompagnare il marito nella Villa del Nonno per una questione di quadri. Qui, il 16 settembre del 2016, un venerdì mattina, lui la uccide come aveva premeditato, con una ferocia inaudita. Le sue armi sono un bastone e uno spigolo di muro. Poi se ne va e la lascia lì a morire. Va a Firenze dai suoi genitori con i figli. Il giorno dopo Giulia non si trova più. Due giorni dopo viene ritrovato il suo corpo. Le impronte di sangue del marito sono ovunque. Lui è arrestato e finisce in carcere. Una pila di prove scientifiche e testimoniali fa dire alla pubblica accusa che, se il processo si concludesse oggi, l’imputato sarebbe condannato col massimo della pena.
Fine.
La critica trova scontata la sceneggiatura. La sequenza crisi coniugale, separazione, femminicidio è un film già troppo visto. Il pubblico si infiamma di giustizialismo: buttiamo via la chiave, che soffra come ha fatto soffrire la moglie! Le donne in piazza urlano che i femminicidi discendono dalla cultura patriarcale e sono strutturali.
Il secondo film dell’ipotetica rassegna cinematografica FEMMINICIDIO OGNI SESSANTA ORE, l’abbiamo visto durante l’udienza di oggi.
Si intitola: NON MI DICHIARO RESPONSABILE. Soggetto, sceneggiatura, interpretazione e regia di Matteo Cagnoni. A scorrimento si ringrazia il coach, avvocato Trombini.
Scena prima.
Da dietro la gabbia di vetro Lui entra in aula. Cartelline e blocchi da scrittore in braccio. Seicento occhi sono fissi su di lui. L’occhio di bue lo illumina: “Mi par d’essere alla prima della Scala!”.
Siede. Comodo. Semi sdraiato sulla poltroncina dei testi, a gambe accavallate, in completo principe di Galles, cravatta a righe oblique. Microfono in mano come un cantante rock. Manca solo un drink e un po’ di sole.
Il Presidente della corte: “La informo che ha la facoltà di non rispondere”; l’imputato: “Voglio rispondere”. Il soggetto è lo stesso di Mi HAI DISONORATO, il primo film.
Anche questa è la storia di un libero professionista, sposato con una ragazza più giovane di lui, dalla quale ha tre figli. Ma è tutto un altro film.
Ai perché, nelle domande del Presidente, della pm e dell’avvocato della famiglia di Giulia, le risposte dell’imputato allestiscono tutto un altro scenario.
Nel momento di massima esposizione mediatica del processo l’imputato si fa vittima e pecorella. Mette le mani avanti. Da trent’anni soffre di panico e depersonalizzazione momentanea. Perché? Un’eredità di famiglia.
Lui è un marito ancora innamorato della moglie che si vuol separare, perché ha un amante. Poi la moglie viene trovata morta in uno scantinato in una villa della famiglia. Lui è arrestato dopo tre giorni. Oggi ribadisce di non essere responsabile dell’omicidio. Distribuisce invece colpe e responsabilità ad altri. Le impronte delle sue mani sul sangue accanto al corpo di Giulia? “Non sono le mie, a volte gli apparecchi elettronici sbacchettano”.
Fra un buco di memoria e un momento di sospensione; fra la richiesta di una bottiglia d’acqua, le lunghe sorsate per inumidire la bocca secca e una pausa per necessità fisiologiche, l’imputato rivolta come frittate le accuse contro di lui e le butta su Giulia.
In sette ore di interrogatorio l’imputato abilmente trasforma il processo a suo carico in un processo contro la moglie. Coerente col suo pensiero di fondo: “L’uomo media, la donna ti manda dalle stelle alle stalle in cinque minuti”.
Dopo aver incaricato un investigatore di spiare la moglie, ammette “non credevo mai al mondo di essere caduto così in basso”. Comunque non è colpa sua, ma di “Giulia diceva un sacco di bugie”. Anche la colpa della crisi è di Giulia che era cambiata e che non voleva più far sesso con lui. E giù una accusa di anaffettività: “E’ stregna nel manifestare i suoi sentimenti”, mentre lui rispetta l’astinenza.
Ha le prove che la moglie ha un’amante. Per sputtanarla per bene, organizza un ascolto collettivo fra amici, delle conversazioni, dove lei racconta all’amante di non sopportare neppure l’odore del marito.
Giulia ha osato mettere in dubbio la sua virilità? Vendetta, tremenda vendetta!
Non gli resta che rincarare la dose.
I cuscini insanguinati? Giulia potrebbe averli usati come materassi per far l’amore con qualcuno. Giulia tradisce l’amante ufficiale con un altro amante. Un altro? In sintesi: sua moglie era una svergognata! (E un pensiero ai bambini, no?).
“Giulia ha mancato di rispettare i nostri accordi di separazione!”. E’ tutta colpa sua!
Quanta rabbia e risentimento. Quanta sete di vendetta! Ancora oggi, anche qui, oggi.
Non basta che Giulia sia stata uccisa, uccisa poi in quel modo, distrutta, cancellata. E’ ancora lei l’unica responsabile di ogni sfacelo. Anche di aver schizzato sangue in ogni dove. Sono sui jeans del marito, perché in luglio Giulia si è ferita profondamente con un triangolo di vetro e lui, mentre il sangue zampillava, le ha fatto “la sutura più bella che mi sia mai capitato di fare”. E’ colpa della filippina non ha lavato quei jeans.
L’arma, il bastone può averlo portato solo Giulia nella villa del delitto, per difendersi dai ladri acrobati. E’ colpa sua, perchè non aveva paura di andarci.
Non mi sono preoccupato quando è scomparsa, perché lei era certamente con “l’amante ufficiale”.
Le parole si caricano di livore, man mano, l’obiettivo è denigrare e sminuire chi l’ha disonorato.
Il climax raggiunge l’apice. La scena inquadra, nello specchietto retrovisore dell’auto, Giulia allontanarsi di spalle verso i giardini pubblici. Lui ferma l’auto. Un momento si sospensione. “E’ finito il mio matrimonio!”. Giulia è un puntino lontano. “Sono gli ultimi istanti in cui ho visto mia moglie”.
Ma è lei che se ne è andata.
L’udienza è aggiornata.
Lui ringrazia il suo pubblico. Pro o contro che sia, sicuramente è venuto per lui. Ora che si è liberato di tanta della sua rabbia, sa che, per un po’ si sentirà meglio. E’ certo della credibilità della sua narrazione, certo di aver recitato la propria parte alla perfezione.
Sorride come se sentisse il fragore di applausi immaginari. Il suo avvocato-coach tira un sospiro di sollievo.
Il Narciso viene riportato in cella, pare si ripeta una delle sue migliori battute: “Quello che dice un vice questore, vale come quello che dico io”.
Si spengono le luci: INTERVALLO.
La seconda parte del film NON MI DICHIARO RESPONSABILE sarà in aula lunedì pomeriggio.
Per ora mi appunto due frasi: non ne sono responsabile, la colpa non è mia.
Perché? Il bisogno dell’imputato di continuare a denigrare, sminuire e infangare Giulia non è già di per sè una prova della sua colpevolezza? Forse la prova regina, dna a parte, sta proprio nell’aver usato il suo interrogatorio per vomitare un odio mai sopito, nonostante la morte. Uccidere non basta per pacificarsi? Se un uomo non ha ucciso la moglie, perché continua a sputarle addosso? Avrebbe voluto ucciderla lui? Un’amica arguta aggiunge: “Perché, nonostante Giulia non ci sia più, lui continua ad aggredirla? La teme ancora?”
Il Cagnoni Pensiero risponderebbe: è colpa di Giulia.
Tanto, ormai non può più dire di NO.