OMBRE DI UN PROCESSO/26

di Carla Baroncelli

20 aprile 2018 – VENTITREESIMA UDIENZA – PROCESSO CONTRO MATTEO CAGNONI PER IL FEMMINICIDIO DI GIULIA BALLESTRI

Oggi in aula si sta come d’autunno in spiaggia. Con poca gente.
Solo un gruppetto di specialisti scientifici, al seguito dell’avvocato della difesa, passeggiano in riva al mare in una spiaggia quasi deserta, se non fosse per un barboncino che scodinzola vestito solo di un civettuolo fiocchetto rosa.
La forza della pubblica accusa ha spianato l’arenile. Eppure gli esperti cercano qualcosa sulla battigia. Si fermano proprio nel punto dove gli amici in braghette del dottor Matteo avevano costruito per lui il Castello di Sabbia. S’abbassano. Raccolgono conchiglie. Qualche stecco. Confabulano. Si danno il cinque. Mettono i reperti in sacchetti di plastica, dello stesso tipo di quelli scaricati dall’imputato dalla sua auto all’arrivo a Firenze. Ma non li buttano via. Non buttano via niente, neppure le conchiglie rotte. Ed eccoli qua a tentare di costruire per la Corte il loro Castello in Aula.
Le parole di oggi: “Delitto d’impeto e non è stato il dottor Cagnoni”. E’ il succo delle testimonianze di questa ventitreesima udienza.
Che il gioco delle parti abbia inizio.
La difesa vuol togliere la premeditazione (delitto d’impeto), vuol togliere la crudeltà (Giulia ci ha messo solo venti minuti prima di morire), per togliere all’imputato l’incubo delle aggravanti.
La difesa vuol togliere scientificità alle prove che accusano il suo assistito. Così come ha cercato di smentire le testimonianze che lo descrivono aggressivo, oppressivo, ossessivo, prevaricatore, vendicativo facendo testimoniare i suoi amici del Castello di Sabbia, per dire in aula che l’imputato è tanto bello, buono e bravo.
Comincio dalla conclusione, prima di entrare nei dettagli.
I genitori portano i bambini a scuola, prendono il caffè in pasticceria, entrano nella Villa del Nonno, prima fotografano il Narciso, poi fanno quattro amene chiacchiere fra turni coi figli e vasi da giardino. Alle 11 il marito esce dalla villa da solo e sale in auto, guarda la moglie allontanarsi fra querce e platani, commosso, improvvisamente consapevole della fine del suo meraviglioso matrimonio. Riparte. La moglie intanto che fa? Piange? Corre dal suo nuovo amore? Macché: ha solo una gran fame. Nel primo posto che trova, invisibile a tutti, ingurgita carboidrati, caffeina, forse un cappuccino o una coca cola. Ancora col boccone in bocca s’accorge che non ha il cellulare. L’avrà lasciato nella Villa del Nonno? Torna là a cercarlo. Non sa che c’è un assassino, un albanese, un ladro funambolo pronto ad aggredirla. Che in venti minuti la uccide, la spoglia, la trascina nel seminterrato. E va via.

La PM chiede: Perché l’aggressore avrebbe lasciato lì il bastone?
Il consulente professor Tagliabracci risponde: Portarlo via dava nell’occhio, forse l’aggressore aveva paura di essere fermato con l’arma in mano.
La PM: Il bastone dava nell’occhio, dice, e andare in giro con borsa, scarpe e abiti della vittima, non avrebbe dato nell’occhio?
Il Presidente: domanda respinta.
Ma tanto basta.
Entriamo nei dettagli, dentro al Castello in Aula.
E passiamo alle impronte col consulente della difesa Mondelli: “E’ ormai assodata l’inaffidabilità delle impronte papillari, com’è scritto sulla rivista Science. Gli esperti danno solo pareri”. Le minuzie nell’impronta della mano destra nel muro sopra lo spigolo non sono sufficienti per dimostrare che siano della mano dell’imputato. Non è la stessa mano. Quindi non possono essere attribuite a Cagnoni. L’impronta sul frigo, poi, non può essere riconducibile a nessuno. Le scarpe? Quasi tutte le scarpe oggi hanno suole a carro armato. Lo stesso disegno ondulato. Le Hogan, le scarpe che aveva ai piedi l’imputato la mattina del 16 settembre 2016, sono state molto copiate. Le scarpe Timberland continuano a cambiar piede. Il mercato segue le leggi della globalizzazione anche delle suole. Non è definibile la marca. Più oltre la biologa molecolare, Turchi, sempre per la difesa dell’imputato, afferma, visto che sul tappetino dell’auto dalla parte del guidatore non ci sono tracce di sangue: “Matteo Cagnoni quando è salito in auto non aveva le suole imbrattate di sangue”. E il cromosoma Y della Famiglia del Patriarca trovato sul bastone? E’ vero: il cromosoma Y è compatibile con il lignaggio paterno, che si eredita solo per via paterna, quindi solo maschile, ma l’imputato ha maneggiato più volte tale bastone per il trasporto.
Domanda: anche per portarlo nella Villa del Nonno?

Dal Castello in Aula il professor Tagliabracci estrae la carta dell’incompetenza nell’autopsia. Nessuno prima di lui ha visto la terza arma: “Si configurano altri corpi contundenti, la terza arma, da aggiungere a bastone e spigolo: le mani”. Il medico legale della Procura non si è accorto che sul collo della donna uccisa ci sono dei segni di ditate. Delle lesioni da strozzamento. I segni scuri lasciati da polpastrelli molto grandi, “forse l’aggressore indossava dei guanti”, continua il consulente, “non è stato cercato il dna sulle quattro ditate”. Domanda assai banale: i guanti hanno il dna? La risposta non conta. Giulia è stata uccisa comunque. Invece no, per la Difesa questo indica che le indagini non si sono svolte con la dovuta competenza.
Dal Castello in Aula emerge la carta della crudeltà.

La scena nella villa del Nonno si è svolta molto più velocemente di quella ipotizzata dagli esperti della procura, secondo i quali fra l’aggressione e la morte di Giulia sarebbero trascorsi trenta, quaranta minuti. Per il Tagliabracci: “Non può essere durata tanto … entro poche decine di minuti, venti minuti. Per me tutto è avvenuto velocemente. E’ stato un delitto d’impeto”. Un altro modo per paventare un raptus? L’ipotesi potrebbe servire per un domani. L’avvocato Scudellari, per la famiglia Ballestri, chiede lesto: “Se ci fosse stato l’impeto omicidiario, perché l’aggressore non ha continuato a colpire col bastone sul ballatoio, ma ha inseguito Giulia, l’ha spogliata e poi uccisa in cantina?” La domanda resta appesa, perché il Presidente non l’ammette, non potendo essere scientifica la risposta.
Al di là di ogni ragionevole dubbio, è il presupposto di ogni condanna. Quindi che sia introdotto il dubbio.
Lo fa la genetista tossicologica, Del Borrello. Semplicemente sposta l’ora della morte di Giulia molto più tardi nel corso della mattinata di venerdì 16 settembre.
La gran quantità di residuo gastrico nel corpo di Giulia non lascia dubbi: dopo il caffè preso col marito alla pasticceria Le Plaisir, la donna ha mangiato molto altro.
E’ il gioco delle parti.
Il Castello in Aula dura il tempo di un’udienza. Dalle nove e trenta alle diciotto.

Mi resta un’ombra da parte.
Durante il dibattimento l’avvocato Trombini, si è rivolto alla Dottoressa Cristina d’Aniello chiamandola Signor Pubblico Ministero. L’incarico di Pubblico Ministero, in questo processo, è stato assegnato ad una donna. Forse l’avvocato la vede come un maschio visto che non ha mai mostrato alcun segno di fragilità, come lo stereotipo vuole siano tutte le donne. Siccome ha dimostrato di essere una donna capace, studiosa, intelligente, forte, ho sentito qualcuno dire in aula: ‘è una donna con le palle’. Propongo a accorciare la frase. ‘E’ una donna’.

A fine udienza il Castello in Aula viene riposto in un faldone sul tavolo della Corte.
Sono scontenta, oggi non si è parlato del perché Giulia è stata uccisa, si è parlato solo del come tecnicamente sia avvenuto l’omicidio, ovviamente necessario per quantificare la pena.
Poco prima di uscire è arrivata sul mio cellulare la notizia: Un altro femminicidio, è il 47esimo dall’inizio dell’anno ad oggi. 110 giorni. Oltre due donne al giorno vengono uccise da un uomo della famiglia. Un uomo violento.
Spesso i giornali ne attribuiscono la causa ad una separazione. Ma non tutte le separazioni finiscono con la morte.
Leggendo le storie dei femminicidi, ci si accorge che i dissidi nella coppia provengono da lontano, da una situazione di violenza in famiglia, grave, spesso pericolosa, e che solo dopo del tempo la donna chiede la separazione. Il movente non è dunque la separazione, ma la violenza dell’uomo sulla donna. Il Patriarca non vive sono nelle Grandi Famiglie Borghesi, ma comanda in moltissime famiglie senza distinzione di ceto, cultura, religione.
A tal proposito, riporto il commento di un uomo a Ombre di un Processo: “Mamma mia, Carla, mi fai piangere ogni volta che ti leggo. Siamo, noi uomini, veramente pessimi”.