OMBRE DI UN PROCESSO / 28

di Carla Baroncelli

11 maggio 2018 – VENTICINQUESIMA UDIENZA – PROCESSO CONTRO MATTEO CAGNONI PER IL FEMMINICIDIO DI GIULIA BALLESTRI

“E’ la persona Giulia Ballestri, che è stata uccisa, non un ruolo” è la frase uscita dall’ombra dell’udienza di oggi, l’ultima del dibattimento.
Fra un mesetto la requisitoria della PM, le arringhe della difesa e delle parti civili. Dal venti giugno la Corte si ritirerà in Camera di Consiglio per la sentenza.
“Non sono poligamo”, ha detto Cagnoni, in tono sprezzante, nella supplica per chiedere per la terza volta la concessione degli arresti domiciliari, con braccialetto elettronico. Non fuggirà, non inquinerà le prove e non reitererà il reato. Non potrebbe uccidere di nuovo sua moglie, visto che ha avuto solo una moglie.
Forse semplicemente perché la cultura Patriarcale Occidentale non ammette la poligamia, come quella Islamica. Comprare le donne invece è ammesso ovunque. Ma questa è un’altra storia.
“Non è accettabile – Cristina d’Aniello, la PM, insorge portando in alto le parole – tollerare che la vittima venga ridotta ancora una volta al solo ruolo di coniuge e quindi l’imputato non potrebbe uccidere altre mogli. E’ la persona, Giulia Ballestri, che è stata uccisa, non un ruolo”.
Le donne e gli uomini sono persone ma non lo sono allo stesso modo.
Gli uomini nascono con un cognome che gli resterà tutta la vita. Anche i loro figli, maschi, avranno la strada spianata dal cognome che portano. La stirpe. Il sangue. L’onore. Il loro ruolo è assicurato per l’eternità. Per diritto. Per la famiglia.
Le donne nascono con un cognome che raramente trasmetteranno, mentre nel corso della loro vita assumeranno quello del marito, talvolta, se si separeranno, quel cognome rimarrà comunque sulle bocche di molti anche per sempre. Il cognome delle donne si toglie e si mette alla bisogna. Le donne nascono persone, ma poi ben presto l’essere di genere femminile le fa diventare semplicemente figlie di, sorelle di, fidanzate di, mogli di, madri di, nonne di.
Quanti ruoli assumono le donne nel corso delle loro vite? Quanti ruoli convivono nelle vite delle donne?
Un femminicida uccide la moglie perché sua moglie è sua e non può permettersi di esercitare libere scelte sulla sua vita, che appunto non è sua, ma del marito.
Se non si fosse ribellata non sarebbe stata uccisa. Una moglie si può anche uccidere perché in fondo la sua vita vale poco. Ma una moglie è una persona e la sua vita vale quanto quella di un uomo. E’ su questo che Matteo Cagnoni e la PM Cristina D’Aniello non si sono capiti, non per una questione di linguaggio, ma per cultura.
Del resto è solo del 1996 la legge che considera la violenza sessuale un reato contro la persona e non solo un reato contro la morale, come stabiliva il codice Rocco che ci trascinavamo dietro dal 1930.
In questo processo ci sono anche vittime viventi. Vittime perché non hanno avuto possibilità di scelta. La loro mamma sarà per sempre Giulia.
Intanto l’imputato sbandiera come un trofeo: “Mio figlio mi ha mandato, tramite mio padre, un messaggio: Staremo sempre assieme e non ci lasceremo mai, sei il numero uno.”. E si permette pure una polemica: “Mio figlio l’hanno costretto a costituirsi parte civile”, poi, scomodando Nietzsche, conclude, “direi che siamo al di là del bene e del male”. Tranquillo, è tutto sotto controllo. Dai servizi sociali, a tutori e protutori.
Le macerie, che seppelliranno di disperazione chi resta, vengono considerate dal femminicida, forse, un danno ‘collaterale’, come dalla guerra del Vietnam in poi, lo erano i civili, vittime del Napalm.
I danni ‘collaterali’ di ogni femminicidio sono ancor più devastanti di un omicidio volontario.
La vittima è la persona uccisa. Ma non si uccide il ruolo di una mamma. La mamma resterà sempre quella mamma e non invecchierà mai, per i suoi figli. Anche se la sua persona non c’è più, anche se per uccidere la moglie è stata uccisa la mamma.
Un effetto collaterale, anche questo?
Tanti sono i ruoli delle donne. Spesso siamo costrette a vivere ruoli non sempre piacevoli come quello di care giver, ma se non lo facessimo noi, chi lo farebbe?
Il ruolo di moglie non è un ruolo imperituro, come una volta. Le donne non vogliono più essere vittime delle scelte altrui per quel che le riguarda. Questo in ogni mondo, popolo e religione. Sempre più giovani donne si ribellano ai matrimoni imposti dalla famiglia. Come ha fatto Sana, residente a Brescia, uccisa dal padre e dal fratello in Pakistan, per aver rifiutato il marito che avevano deciso per lei. E’ solo uno degli ultimi femminicidi.
Oggi le donne sono più consapevoli dei loro diritti, soprattutto di quello di scelta. E dalla consapevolezza non si torna indietro. La storia di ogni vittima, diventa patrimonio di tutte.
Vittima è una parola. Vittimismo è un’altra, ed è tipica di chi vuol apparire vittima, spesso consapevole di non esserlo, se non di se stesso, ma con l’intento di ottenere l’empatia di chi ascolta.
E così l’imputato cala la carta del lamento. Gli mancano i genitori. Oltre la mamma, ora sta male anche il Patriarca Padre che “è molto triste e malato, con un dolore che si aggrava sempre di più”. D’istinto sento pietà. Poi immagino la notizia come una delle Bugie di Matteo. E’ chilometrico l’elenco di quelle emerse dalle testimonianze. Ha mentito agli amici più intimi, a sua madre, ai suoi figli. Al padre, al suo difensore? Sicuramente ha mentito a Giulia Ballestri: “Ha giurato sulla testa dei nostri figli che non mi farà niente”. Talvolta la menzogna è un reato, talvolta è un tradimento. Talvolta è una vendetta.
Col tono sempre più mesto, l’imputato si è appellato infine alla Caritas. Non alla nota associazione benefica: son tempi di spese pazze per salvare l’Onore. La parcella dell’Ingegner Caccavella, consulente informatico della difesa, ascoltato l’udienza scorsa, si dice sia a cinque zeri. A volte il Potere si dibatte scoordinatamente per non soccombere e spende a piene mani per una speranza. Quella consulenza si è rivelata una spesa inutile, forse addirittura dannosa. La Corte ha dichiarato inutilizzabile la relazione e non l’ha ammessa fra le prove.
Il Supplice, con la sua ultima carta si appella alla “Caritas” della Corte: “Sono arrivato al lumicino, in carcere si sta male (sigh), gli attacchi di panico si sono moltiplicati, ho le allucinazioni, depersonalizzazioni momentanee … mi vedo nel letto, mi vedo che scrivo… la condizione carceraria non consente il recupero di patologie, starei molto meglio a casa”.
Bugia? Dalle cartelle cliniche del carcere non risulta. Anzi, ci sono segni di miglioramento.
Fa pensare anche il fatto che la difesa abbia rinunciato al suo consulente, il professor Ferracuti, psichiatra forense, che si è già negato per tre udienze. Risparmio di denaro o rifiuto professionale dell’esperto?
Il parere negativo della Dottoressa D’Aniello alla richiesta di arresti domiciliari è immediato. Si basa sulla “gravità indiziaria granitica, rafforzatasi negli ultimi mesi” e si conclude con una puntualizzazione: “Ai piedi di Cristo, ci si pente”.
Altro che pentimento. L’imputato strappa l’ultima parola. La furia, che ha trattenuto negli ultimi cinque mesi per dimostrare di essere cambiato e di essere diventato calmo e riflessivo, gli esplode fra i denti: “Le parole del pubblico ministero sono un’istigazione al suicidio”. Con questa frase pare che voglia mettere le mani avanti. Il Signor Cagnoni se ne deve fare una ragione: questo è un processo e lui è l’imputato.
A ciascuno il proprio ruolo.
Per la sindrome di onnipotenza del Cagnoni Pensiero non c’è posto.