OMBRE DI UN PROCESSO/32 EDIZIONE STRAORDINARIA

Oggi mi rivolgo direttamente alla Corte. Al Presidente di questa Corte d’Assise, Corrado Schiaretti, al giudice a latere, Andrea Galanti, alla Giuria Popolare. Dopo il dibattimento, la requisitoria e le arringhe , siamo quasi al termine, ma mi sembra manchi qualcosa. Penso e ripenso. Manca la voce di Giulia, la principale parte lesa. L’ho cercata fra i verbali delle udienze che ci hanno portato fin qui. E l’ho trovata. La sua voce sta nelle testimonianze, riportate tra virgolette nei verbali della Corte. Le parole sono quelle che Giulia stessa ha riferito a Stefano, all’amica, alla madre, al fratello, agli psicologi e a vari altri testi. Io ho soltanto cucito le frasi, collocandole nei tempi indicati dai testi stessi. Così mi permetto di far uscire dalle Ombre di questo processo la voce di Giulia per raccontare con le sue parole la versione dei fatti. Questa è la sua arringa.

Signor Presidente, signori della Corte Mi chiamo Giulia Ballestri. Ora sono un’Ombra. Non ho più un corpo. Non più da quando Matteo Cagnoni, e ci sono le prove, ha scelto di distruggerlo e disfarsene, come un oggetto ingombrante e dannoso. Come ha fatto con la mia bella borsa bianca, che ha buttato fra i rifiuti. Forse anche un’Ombra si può buttare fra i rifiuti. Le parole invece non diventano Ombre. Le parole vivono più della vita. Restano fissate nella memoria. Eccomi qui, Ombra fra le Ombre, dal 16 settembre 2016. Qui, dove stanno tutte le Ombre delle donne uccise dai loro partner o ex. Quasi la metà di noi è stata uccisa dopo aver denunciato colui che sarebbe diventato il suo assassino. L’altra metà è rimasta sola, come me. Fra noi Ombre comunichiamo con l’empatia e ci raccontiamo le nostre vite. C’è tanto da imparare ad ascoltare le storie delle donne uccise dal compagno o ex e delle bambine uccise dai padri. E’ così che ho capito perché sono stata uccisa. Col permesso della Corte, faccio entrare la mia testimone: una donna uccisa dal marito 13 secoli fa. Mi chiamo Francesca da Polenta. Sì, sono proprio Francesca del V canto dell’Inferno. Sono nata Ravenna e a quattordici anni sono stata data in sposa a Gianciotto Malatesta, da tutti conosciuto come ‘lo sciancato’. Lui era quattordici anni più vecchio più di me. A dir poco era orribile, non solo d’aspetto, anche di cuore. Inoltre ero innamorata di suo fratello Paolo. Le nostre nozze erano state combinate dalle due Famiglie quando avevo sei anni per unire il potere fra Signorie: i da Polenta da Ravenna e i Malatesta da Rimini e Verucchio. Un matrimonio forzato difficilmente è felice e a farne le spese è sempre la sposa. Gianciotto mi ha costretta a vivere fra quattro mura, controllando anche quel che leggevo. Diceva che una donna ha un ruolo ben definito: moglie, madre e amante. Ogni notte mi violentava, diceva che era mio dovere coniugale sottostare alle sue voglie. Ho avuto due bambini, una femmina e un maschio. Solo quando partiva per una battaglia stavo bene, anche se mi faceva controllare dai suoi sgherri. Talvolta riuscivo a sfuggire. Paolo mi aspettava. Ascoltava la mia solitudine e baciava le mie lacrime. Per consolarmi. Un giorno, mentre stavamo leggendo dell’amore di Ginevra e Lancillotto, mio marito ci ha colti di sorpresa. Ci ha uccisi entrambi. Con il permesso della Corte, pongo una riflessione. Sono stata uccisa da mio marito da 733 anni e, per colpa di Dante, ancora oggi gli studenti imparano a memoria: “Amor condusse noi ad una morte”. Ma di quale amore parla? Non è stato il mio amore per Paolo che mi ha uccisa, ma l’odio di mio marito. Mi odiava perché non lo amavo, quando invece dovevo sottopormi ai suoi voleri. Ai miei tempi noi donne non eravamo considerate persone, ma appendici dell’uomo, proprietario della nostra vita e della nostra morte, come quella delle nostre figlie. Sapete quanto mi sia sempre piaciuto leggere, da quando sono un’Ombra ho letto di tutto. Non siamo più ai tempi di Lancillotto! Tante leggi, tante lotte, tante strade hanno percorso le donne. Oggi la violenza sulle donne è considerata un reato contro la persona e non più contro la morale. Ma le Ombre delle donne uccise dai mariti, compagni o ex continuano ad arrivare ogni giorno, sempre di più. Da ogni nazione, cultura, religione. I secoli sono passati, ma il motivo che ci ha condotto a morte è sempre lo stesso. Il potere dell’uomo contro il diritto delle donne alla libera scelta e all’autodeterminazione. E con tutto questo, Dante ha messo me all’inferno, fra i lussuriosi. Mi ha punita, unita per sempre a Paolo, sballottati qua e là dal vento. Riconosco il merito a Dante di aver messo all’inferno anche Gianciotto, in fondo aveva commesso un delitto d’onore, però lui è vissuto altri ventuno anni, si è risposato, ha generato altri cinque figli, e ha continuato a uccidere nemici a destra e manca. Sempre uguale a se stesso. E’ sempre stato così: le donne si emancipano, gli uomini restano fermi.

Dal PUBBLICO si eleva un CORO di voci femminili: le donne si emancipano, gli uomini restano fermi…

Ora chiedo alla Corte: perché io, Giulia Ballestri, sono stata uccisa? Per amore o per odio? Pretendevo solo il diritto alla felicità. Pretendevo il diritto alla felicità dei miei figli. Che felicità avrebbero avuto con una

Ora chiedo alla Corte: perché io, Giulia Ballestri, sono stata uccisa? Per amore o per odio? Pretendevo solo il diritto alla felicità. Pretendevo il diritto alla felicità dei miei figli. Che felicità avrebbero avuto con una mamma sempre più infelice, oppressa, spaventata? I bambini sanno leggere i visi, le palpebre, le pieghe agli angoli della bocca. Non avrei sopportato di mentire. Certo sarebbe stato difficile per loro cambiare i ritmi quotidiani, ma io sarei stata lì a ripararli dal vento. Non li avrei tenuti lontani dal padre. Niente di tutto ciò mi è stato concesso.

Il CORO delle donne:… A Giulia non è stata concessa la felicità.

Sono sempre stata una brava ragazzina. Ho una amica del cuore, Elisabetta, Betta, che ho conosciuto a pallavolo. Con lei mi confido spesso. Non sei tagliata per lo studio – dice mia madre – nell’azienda di famiglia abbiamo bisogno di te. Sono una brava ragazza. A ventotto anni ho ancora un residuo di acne, un dermatologo mi aiuta a guarire. I miei e mio fratello sono fuori Italia per lavoro. Mi sento sola. Ti manca la tua famiglia – mi consola Betta. Sono confusa e non so che strada imboccare. Il dermatologo mi corteggia. Io mi ritraggo. Lui mi insegue, mi sta addosso. Mi dice che solo a lui importa di me. Non mi va, ha 13 anni più di me. Ma mi insegue, mi sta addosso. Mi porta a mangiar fuori una volta la settimana. Mi attrae la sua cultura. Sa parlare di tutto. Mi corteggia, mi sta addosso. E io ho bisogno di una figura un po’ più grande accanto a me. Mi faccio catturare. Ho molta paura di perderlo. E’ diventato il mio solo punto di riferimento.

CORO: Giulia è una brava ragazza… si sente sola… Matteo la insegue, le sta addosso… Giulia ha paura di perderlo… è il suo solo punto di riferimento.

Il dermatologo è Matteo Cagnoni. Mia madre sa già tutto di lui: è il figlio più piccolo di una famiglia importante di Ravenna; il nonno è stato gerarca fascista, il padre Mario è Professore, è un ex docente universitario di medicina interna al Careggi di Firenze; sono tutti iscritti alla massoneria, anche lo zio e il fratello; si tratta di una Grande Famiglia. Potente. Mia madre è entusiasta e spinge, spinge. Anche la mia famiglia è nota a Ravenna. I miei hanno una impresa offshore e affari in America Latina. A loro piace molto Matteo. Forse più che a me. Sarà che è più grande di me, ma mi sento di aver bisogno di lui. Mi lascio prendere. E rimango anche incinta. Non so che fare. Matteo però decide per me: Questo bambino non sarà figlio di nessuno, noi ci dobbiamo sposare. Mi convince a sposarlo. Il matrimonio si deve fare di fretta prima che si veda la pancia grossa. Che la gente non sappia. Ma il mio grembo si attorciglia nello stress e la gravidanza si arresta. Il matrimonio è fissato, non si può disdire, andiamo avanti. Sono perplessa. Lui mi segue, mi sta addosso. Anche i miei mi stanno sopra. Non c’è tempo. E gli dico di SI, ci sposiamo.

CORO: Si tratta di una Grande Famiglia.

Ai genitori di Giulia piace molto Matteo. Forse più che a Giulia. Lui ha deciso per lei. La felicità arriva con Rachele, la mia bambina. Vado poco a lavorare. Matteo dispone: la moglie del dottor Cagnoni non lavora. Mi licenzio. La mia piccola è tutto il mondo che voglio. Il mio cognome scompare dal campanello. Ora siamo la Famiglia Cagnoni. CORO: la moglie del dottor Cagnoni non lavora… il cognome di Giulia sparisce dal campanello Poi arriva Leonardo. Ora tutto è perfetto. Mi piace così. Certo non ho più tempo per le amiche, che del resto Matteo non gradisce. Usciamo solo coi suoi amici. Discorsi noiosi, pesanti, grigi come i loro capelli. Cerco di non sbadigliare, e se mi isolo, Matteo mi guarda male e a casa poi mi fa una testa così. Ciò che mi fa star bene è lasciarmi mangiare e bere dai miei piccoli, che mi si arrampicano addosso come fossi una quercia. Tre anni dopo un altro bambino. Giorgio. Giorgino, il più piccolino. La mia attenzione è tutta per i bambini. Rachele è una brava bambina in ogni senso. Leonardo stravede per suo padre. Giorgino mi succhia l’anima e io lo lascio fare. Matteo mi chiama continuamente al telefono. Con un bambino di qua e uno di là accorro di corsa. Vuol solo sapere come va. Ma quando sono io a chiamarlo, non c’è mai. Esco pochissimo con le amiche, non ho tempo. Betta mi chiama, ma c’è sempre qualche figlio che vuole la mia attenzione. Da qualche tempo poi Matteo trova una scusa nuova per non andare neppure a trovare i miei genitori. Ho scoperto che Matteo è un inventore di scuse.

CORO: Matteo non gradisce… le fa una testa così…

Matteo è un inventore di scuse Signori della Corte: le scuse sono bugie, sono un modo per falsare la realtà e condizionare gli altri. Ma, allora, non ci pensavo. E sono caduta nella trappola. Pappe, pannolini, ciucci e pigiamini. Poi tute e calzoncini. Asili, scuole materne, e poi le elementari. E corsi e nuoto e basket e danza. E fai la spesa e cucina. Ho chi mi aiuta in casa, ma devo essere una moglie impeccabile. Aumentano le stature, aumentano i ritmi. Aumenta la mia energia. Sono passati dieci anni dal mio sì. E sono viva. Sono viva ma sono stanca. Dover essere sempre una moglie impeccabile comincia a pesarmi. Cerco di sottrarmi alle cene col sindaco, l’assessore, il Rotary, i Lions e la raccolta fondi contro la violenza sulle donne, ma non c’è verso. Sono sua moglie e devo andare. Matteo vuole farsi fotografare con me appesa al suo braccio, sorridente, entusiasta. Che appaia la sua foto con la didascalia: il noto dermatologo dottor Matteo Cagnoni con la moglie. Basta che sia piacente, non c’è bisogno che io abbia un nome. Mi ha detto che devo cercare di capirlo: ha bisogno di ricostruirsi una reputazione dopo lo scandalo delle prescrizione false di farmaci. La vicenda si è conclusa bene, ma dice che il suo Onore è stato scalfito in qualche modo. Gli servono relazioni con persone influenti. Visibilità. Una Famiglia da mostrare. Un vanto. E se talvolta esagera, mi ha confessato, è perché da piccolo è stato un ‘bambino poco visto’, gli ha detto così il suo amico psicologo, e quindi adesso cerca di mettersi in mostra. La perdita dell’immagine è per me un dramma. Lo capisci, Giulia?– ha concluso Lo so, lo so, scusami tu Matteo, ci metterò più impegno – lo rassicuro.

CORO: Giulia è sua moglie e deve andare… Matteo è stato un ‘bambino poco visto’… Giulia lo rassicura…

Proprio in quest’aula, lo psicologo di Matteo, ha spiegato cosa significa essere un bambino poco visto. Un bambino poco visto vuol essere visto. Crescendo, il suo antico stato di insicurezza si è trasformato in un bisogno di affermazione, un bisogno di comparire, di essere visto. Io sono la Mamma di tutta la Famiglia. Da un po’di tempo ho la sensazione che mi manchi qualcosa. Matteo decide tutto della nostra vita. Si va qui, si va lì. La cena di qua e là. Decide chi devo vedere e chi no. Dice: chissà su quale strada ti portano a sbattere i tuoi amici giovani, quali cose ti mettono in testa, meglio i miei. Sono più interessanti, colti, intelligenti. Per lui è meglio frequentare famiglie che single perditempo fra feste e drink. Famiglie, famiglie. Comunque devo sempre chiedergli il permesso. Matteo non vuole neppure che frequenti Betta. Non è sposata e non ha figli. Adesso, quando Matteo inventa scuse per non andare a cena dai miei, a loro dico la verità: non posso sennò mio marito mi fa una testa così. Altre volte la scusa sono i suoi genitori: no, no, questo week end dobbiamo andare a Firenze dai miei, non scontentiamoli, vogliono vedere i nipoti. Con questa scusa, mi fa sentire in dovere di andare a Firenze, anche perché ogni mese il padre di Matteo ci passa una bella cifra. Così mi dico: Matteo è com’è però è sempre la mia famiglia ed io non posso fregarmene. Così, dentro le quattro mura di casa il mondo attorno a me si è rimpicciolito.

CORO: il padre di Matteo passa una bella cifra… Giulia non può fregarsene… il mondo attorno a lei si è rimpicciolito… le manca qualcosa…

I sensi di colpa aumentano la mia confusione. I ricatti affettivi sono la peggior tortura. S’insinuano e confondono i contorni della realtà. Mi sento in libertà vigilata. Matteo mi chiama al telefono ottanta volte ogni quarto d’ora. Pretesti, banalità per sapere dove sono, cosa faccio, con chi sono, come sono vestita. Ha cambiato il pin del mio cellulare. Oppure me lo porta via con la scusa che il suo è scarico. Quando me lo restituisce mancano sempre dei contatti. Li ha cancellati. Dice che si è sbagliato. Si scusa. Ma ogni volta sparisce un nome. Adesso poi non posso neppure più leggere i libri che piacciono a me. E’ lui a scegliere cosa devo leggere. Questa roba non è abbastanza colta. – mi dice – Quando siamo in mezzo alla gente devi partecipare alle discussioni, devi interloquire, mostrarti preparata, informata, non puoi farmi sfigurare. Così mi porta a casa dei libri e delle riviste da leggere. Mi annoiano da morire. Ma poi lui mi interroga e io non so che dire. Mi arrendo e li sfoglio.

CORO: Giulia deve leggere i libri che vuole Matteo…

Non può far sfigurare suo marito Signori della Corte, Signor Presidente, cos’è questa se non violenza? La violenza psicologica non fa male al corpo, non si vede, non sanguina. Ha fatto crollare del tutto la fiducia in me stessa. Mi sono sentita inferiore a lui e ai suoi amici. Ho creduto davvero di essere solo un’ignorante. Tant’è che la paura di sbagliare mi ha tolto la parola. Faccio fatica a respirare. Mi sono confidata con mio fratello, ha minimizzato: va là, non esagerare – mi ha detto. Mi sembra anche di essere più bassa di statura quando cammino fra la gente, tanto mi sento sminuita. Ma in giugno del 2015, me lo ricordo bene quel giorno, mi è tornata la parola. All’uscita dalle scuole Tavelli, fra i genitori in attesa dei figli, rivedo un amico dei miei diciotto anni. Stefano. Ci raccontiamo le nostre vite, ci scambiamo i lamenti sui nostri matrimoni. Confidenze, insomma. Simili i disagi, le crisi, le insofferenze e i dubbi. Io lo ascolto e finalmente c’è chi mi ascolta e crede in quello che dico. Stefano è attento e paziente. Anche lui è affranto, come me. Anche lui si sta separando, ha una bambina e stravede per lei. Quant’è doloroso separarsi quando si hanno dei figli. Lo vedo nei suoi occhi e nelle sue mani Lo so bene, perché il mio desiderio, che non ho il coraggio di dire neppure a me stessa, è di finire con questa tortura. Separarmi è ciò che vorrei fare davvero, finalmente l’ho detto. Adesso che i bambini sono più grandi, vorrei anche tornare a lavorare nell’azienda dei miei. Mio padre invecchia e c’è bisogno di me. I miei desideri si sbriciolano appena vedo i miei bambini uscire dal portone. Come sono ancora piccoli! No, non posso, proprio io, non posso traumatizzarli con una separazione. Saluto Stefano: a domani. E torno nel mio solito tunnel.

CORO: Giulia vorrebbe lavorare… vorrebbe separarsi…. ma i bambini sono così piccoli…

Giulia torna nel solito tunnel. Ora che mi è tornata la parola, ho raccontato a Betta di Stefano. Forse mi sto innamorando. Stai attenta – mi ha suggerito – devi valutare tutto perché hai tre bambini e una famiglia – e ha concluso – comunque non voglio entrare in questa storia, so bene che Matteo è un tipo vendicativo. Perché nessuno mi ascolta? Il vero problema è proprio questo: quando noi donne parliamo non veniamo ascoltate davvero. Le richieste di aiuto non sono esplicite, anche perché non ci si rende conto di averne bisogno. Per fortuna c’è Stefano. Mi ascolta e soprattutto crede a quello che dico. Essere creduta fa bene, altrimenti si diventa pazzi di solitudine. Un giorno sono andata dall’estetista e Matteo mi ha telefonato per vedere se ero davvero lì. E’ stata una umiliazione. La ragazza ha detto che mio marito mi ama tanto, se fa così. Ho sorriso. Sarà. Fosse solo quello. Non perde occasione per gettare fango sulla mia famiglia. Per lui esistono solo la sua famiglia, la sua persona, il suo cognome. Tutto il resto è niente. Sono andata a dargli una mano in ambulatorio per mettere a posto i medicinali, ma non c’è verso, non riusciamo ad andar d’accordo neppure su quello. Voglio tornare a lavorare. Voglio un impegno. Signori della Corte: noi donne non siamo solo uteri riproduttivi. Ma la risposta di Matteo è sempre la stessa: La moglie del dottor Cagnoni non lavora. Non è per i soldi, anche se ultimamente Matteo fa parecchie assenze dal lavoro. Tengo io i conti di casa e le entrate non sono sufficienti. Ma non c’è problema, possiamo continuare a spendere, mio suocero ci fa dei bonifici mensili. Che non si veda da fuori, che non si sappia, si raccomanda sempre Matteo. E infatti la nostra vita passa da un serata all’altra, soprattutto per beneficienza, così lui può mettersi in mostra. Adesso ha la fissazione dei quadri. Vuol fare una mostra coi quadri che abbiamo nella Villa dei Nonni. La casa dei morti come la chiama lui, tant’è che ha paura di entrarci da solo. Coi suoi amici ha fatto anche una seduta spiritica con i figli di Mussolini per mettersi in contatto col Duce. Poi dal suo amico Don Desio.ha fatto cacciare il maligno. Matteo si sente un mecenate di giovani artisti. Ora che ho meno da fare coi bambini, non mi lascia sola un attimo. Un giorno mi costringe ad andare a Bologna, un altro in Svizzera. Mi porta in giro a non far niente. Vuole che lo accompagni e basta. Mi trascina a Firenze perché dice di avere una ventina di pazienti da visitare e invece non è vero. E io faccio valigie, disfo valige. Venti borse. Ci si sposta con tre bambini e non gli importa degli impegni della scuola. Si deve andare con lui, punto e basta. E così andiamo.

CORO: Matteo la trascina qua e là… deve andare con lui, punto e basta… Matteo fa parecchie assenze dal lavoro…

Improvvisamente mi rendo conto che tutto è diventato menzogna. Che la verità non si sappia. Che la maschera celi la finzione e mostri un marito innamorato, una moglie affettuosa. Il silenzio è complice della bugia. Signori della Corte: inorridisco al sol pensare che in alcune sentenze il silenzio delle mogli maltrattate sia stato giudicato come una complicità. Il marito è stato assolto. Signor Presidente, non sono io l’imputata. Non mi rassegno. Io e Stefano ci vediamo più spesso, anche nella nostra Villa a Marina Romea o in spiaggia per cene fra amici. Lo invita Matteo, ma sento un certo disagio. E’ sempre più negativo. Denigra tutti i miei parenti, gli amici, i conoscenti. Si vanta di un libro che ha scritto sulla sua Famiglia. Parla della mostra e di quanto si senta un mecenate. Nei suoi discorsi lui è sempre al centro. Protagonista. E’ un Narciso – secondo Betta. Stare con Stefano mi piace sempre di più. Mi sento libera e amata. Stefano non si vanta di niente. Come me. E ad agosto ci amiamo con tutti i sensi. Accendo le luci nel tunnel perché i bambini non si accorgano di niente e faccio la mamma di sempre. Non riesco a star vicina a Matteo. A dicembre gli dico, chiaro e tondo, che voglio la separazione. Lui è comprensivo. Sai, una donna che si avvicina ai quarant’anni – mi ha rassicurato – è facile che vada in crisi, che sia un po’ depressa. Detto questo mi ha allungato una scatoletta con dei farmaci. Ogni tanto li prendo, li lascio sul tavolo della cucina. Ed è lì che li ha visti Betta. Siccome è farmacista, si è allarmata parecchio: ma chi prende queste medicine? Io le rispondo che me le dà Matteo. Betta si infuria: sono un farmaco per il bipolarismo, per gli stati maniacali, questa medicina va diritta al cervello! Tu non sei depressa – continua sempre più con foga – Tu non sei depressa, non stai male, sei sanissima, è solo che ti sei stancata di questa situazione – urla – Rifiutati! Quindi questa sera mi rifiuto di prenderle. Matteo siede davanti a me al tavolo della cucina e mi mette una pillola in bocca. Manda giù, ingoia – urla – fino a che non la mandi giù non ti alzi di qui. I bambini sono in camera loro con la Rosario, la tata. Come vorrei essere lì a strusciare la faccia sui loro capelli e invece no, ingoio la pillola. Io non ci sto due ore seduta lì davanti a lui, la prendo e basta. Me ne vado dai bambini, tanto io so di star bene. Comunque, dopo qualche giorno di questa sceneggiata, accetto anche di andare dallo psicologo di Matteo, fra l’altro suo amico, a Forlì.

CORO:… sui quarant’anni una donna va in crisi…

Mio marito vuole convincermi che sono malata. Mi fa ingoiare delle medicine che mi stordiscono. Vuole privarmi di ogni volontà. Che reato è, mi chiedo, privare una moglie della volontà per averla nel suo pieno potere? Privare una donna della libertà di scegliere. E questo reato si estingue con la morte della donna? Mi sento soffocare – sono le prime parole che dico al suo amico psicologo. So che andrà a riferire tutto ciò che dico a Matteo, ma ho bisogno di sfogarmi. Sono angosciata, non riesco più a stare in questa situazione, ma allo stesso tempo non riesco a reagire. Non ne posso più di farmi condizionare la vita a questo modo da Matteo. Mi deve organizzare la vita! Mi deve controllare. Lo psicologo mi chiede: Matteo in qualche modo è violento? Hai paura? Gli ho risposto: assolutamente no. Se mi servono dei farmaci – mi avverte lo psicologo – me li deve prescrivere uno psichiatra e non mio marito. La sua diagnosi, dopo qualche seduta: più che depressa, sono passiva. Il suo consiglio è di incominciare a prendermi i miei spazi, e, almeno una volta a settimana, di uscire a divertirmi con le amiche e gli amici. Matteo si è arrabbiato tantissimo. Lo psicologo ha cercato di farlo ragionare: una separazione non è per forza un fallimento, ma la modifica di una situazione dalla quale può nascere qualcosa di costruttivo per entrambi – gli ha detto. Sia come sia, dopo quella seduta, Matteo non vuole più che continui ad andarci. Mi ha proposto invece di andare da uno psicologo di coppia. Matteo è un gran rompipalle. Ancora una volta acconsento, per farlo star buono. Forse è vero che sono passiva.

CORO: Più che depressa Giulia è passiva… deve prendersi i suoi spazi… Matteo si arrabbia e Giulia acconsente…

Dal nuovo psicologo esce fuori il vero problema di coppia: il sesso. Quando dico che non sono soddisfatta dei nostri rapporti sessuali e che non sono piacevoli, Matteo va fuori di sé. Giulia, non è che provi attrazione per le donne? – mi assale. Penso un attimo a Stefano e mi vien da ridere. Bastano poche sedute perché lo psicologo di coppia dica chiaro e tondo che siamo una famiglia all’antica. Matteo è lucido e argomentativo. Attivo. Ha più potere all’interno della nostra coppia. Io sono sofferente e scoraggiata. Sono una donna che si ritira sempre di più, anche dall’interesse per la famiglia. Una donna in ritirata, con un low profile. Lui è up, io sono down. Senza alcun potere. Ci ha proprio azzeccato. E’ una questione di potere. Oggi ho detto a Matteo che non voglio più saperne del matrimonio e che non voglio più avere rapporti sessuali con lui. Mi ha spintonato contro l’armadio, mi ha messo le mani al collo. L’ho allontanato e gli ho fatto capire che non doveva farlo mai più. Sono certa che ha capito e che non lo farà più. Adesso ogni giorno, anche in pausa pranzo, mi prende per un braccio e mi porta in camera da letto, chiudendo a chiave. Mi costringe a far sesso. Fino a quando sei sposata con me – urla – devi fare il tuo dovere coniugale, è un mio diritto. Vostro Onore, il dovere coniugale è il diritto del marito di violentare la propria moglie? Quale legge obbliga la moglie ad assecondare il desiderio dell’uomo? Ancora una volta la paura delle conseguenze di un mio rifiuto, mi fa stare lì. Ascolto i bambini in sala, le loro risate, i gridolini. Trattengo ogni protesta. Ho bisogno di confidarmi con mia madre, la vedo sempre meno. Matteo non vuole che parli con lei dei nostri problemi. Vado a trovarla di nascosto. Le racconto della nostra crisi. Lei minimizza: va bene, Giulia, non esagerare, dopo dieci anni di matrimonio, l’entusiasmo si spegne un po’, è normale. Mio fratello mi ripete: stai tranquilla, non farti prendere dalla disperazione. La congiura del silenzio. E ancora sto zitta. Ubbidisco. Signori della Corte, forse vi chiederete perché non l’ho denunciato. Perché avevo paura e la paura mi ha annichilita.

CORO: Giulia non vuole più avere rapporti sessuali con Matteo… Matteo la costringe… Giulia sta tranquilla… e ancora sta zitta… ubbidiente.

Dopo la questione dei farmaci, non riesco più a bere dalle bottiglie aperte. Devo stapparle sempre io. E se Matteo mettesse delle polverine nell’acqua? Matteo sta cambiando. Prima mi proibiva di fumare e di bere anche un goccio di birra con la pizza. Se ne bevevo un sorso, mi denigrava davanti ai bambini. Adesso vorrebbe che io bevessi, bevessi, bevessi. Prendo il coraggio in mano. Ricordo a Matteo che, visto che lui esce spesso a cena coi suoi amici, io voglio un po’ di tempo per me. Matteo detta le condizioni: va bene, puoi prenderti una sera a settimana, esci pure con le tue amiche, però non puoi andare nei ristoranti, non puoi andare in nessun locale e farti vedere in pubblico senza di me, se vuoi vedere le tue amiche puoi incontrarle a casa loro. Accetto, meglio di niente. Nelle serate di gala con lui, continuo la mia finzione. Tutti dicono che sembriamo la coppia più bella del mondo. Sorrido a destra, sorrido a sinistra. Matteo mi prende per mano. Vuol dire che recito bene. Mia madre mi ha raccontato che Matteo si lamenta di me. Si meraviglia che le cose fra voi non vadano bene – mi dice – Non puoi negare che lui ha sempre deciso per il bene della famiglia, per questo la tua insofferenza lo turba parecchio. Non capisco perché non gli vado più bene – le ha detto Matteo. E’ sempre andata bene così, perché Giulia è una pigrona di natura. – gli ha risposto mia madre. Anche lei mi sminuisce.

CORO: Sono la coppia più bella del mondo, perché a Giulia non va più bene?… Giulia è una pigrona di natura.

Mi permetto di porgere alla Corte una domanda; dato che la violenza sessuale all’interno della coppia è un reato, quanti rapporti non consenzienti ci vogliono per chiamarlo stupro? Mio marito mi ha violentata ripetutamente. Sesso, sesso ad ogni ora. Matteo mi sta sempre più addosso. Da un mese mi sfinisce. Finché sono sua moglie devo starci, dice. Io mi concedo come un sacco di patate, come una morta. Che palle, mi tiene sotto interrogatorio ore e ore a sviscerare tutto, io non ne posso più, me ne voglio andare a letto, non posso stare fino alle due di notte lì a parlare tutte le sere. Non ne posso più. Vado da un avvocato. Questa storia deve finire. Siamo già a maggio. Mio fratello continua a dirmi che la situazione non giustifica una separazione e mia madre insiste col dirmi che è un passo molto importante nella mia vita, che devo pensarci bene, pensare alle conseguenze per i bambini, e di non dimenticare che siamo una famiglia. Ma la mia decisione è ferma: vado dall’avvocato. Di nascosto da Matteo che non vuole che qualcuno si metta fra noi.

CORO: Il marito la violenta… lei si finge morta…

Non lo sopporto più, sono controllatissima, non posso fare nulla di quello che voglio mentre lui fa tutto quello che vuole, io non posso uscire un secondo di casa che vuole sapere dove, come e perché, invece lui, anche nel cuore della notte, prende su ed esce. Se gli chiedo: scusa, dove stai andando?, risponde: non sono affari tuoi. E torna dopo ore. Per controllarmi non lavora più, le cose in casa stanno andando male, tanto che praticamente viviamo della paghetta dei suoi genitori. I bonifici variano da cinque a nove mila euro al mese. Comincio a vergognarmi di tutta questa faccenda. Anche se devo comprare un uovo devo chiedere i soldi a Matteo. Forse gli affari, o comunque i pazienti, sono calati per altri motivi, ma lui fa di tutto perché calino ancora, perché in studio non ci va. Ogni tanto si sveglia la mattina e annulla gli appuntamenti con delle scuse. Io so che lo fa perché mi deve controllare. Non capisce che, alla lunga, i pazienti si stufano. Una cosa ho ben chiara in testa: voglio trovare a tutti i costi una intesa con mio marito. Ma prima devo parlare col Professore, per trovare un’intesa economica. Mio suocero è molto importante nella famiglia, non solo dal punto di vista economico, ma come punto di riferimento. Lo chiamo. Tenta di dissuadermi e di convincermi a riprendere un menage tranquillo con Matteo. Ma di fronte alla mia determinazione s’arrende. Cercherà un’intesa economica. Ho ricominciato a sognare. Non più da sola. Con Stefano. Sogniamo di andare a vivere assieme, in un futuro. Adesso però vorrei vivere da sola coi miei bambini. Devo sistemare tutto al meglio, far in modo che trovino un nuovo equilibrio. Matteo è bravo coi suoi figli, e loro gli sono molto affezionati. Anche il rapporto col padre troverà un nuovo equilibrio. Sarò sempre pronta a tenerli in braccio. Poi si vedrà. Oggi Emilia, la mia vecchia Tata, ha visto nel parcheggio me e Stefano scambiarci delle affettuosità. Mi vuol bene, spero non lo dica a Matteo. A parte Betta, non lo sa nessuno. In pubblico interpreto il ruolo della donna serena. Nessuno si è accorto di niente. Mi tranquillizzo, quando esco la sera con Matteo, la Tata si raccomanda con me: stai attenta! Le rispondo: lo so.

CORO: Giulia deve stare attenta… stare attenta… lo sa, lo sa, lo sa…

Chiedo il permesso della Corte e del Presidente di ascoltare le testimonianza di alcune Ombre che sono attorno a me.

Ombra 1: sono diventata un’ombra fin da viva, ma un giorno sono uscita a prendere il sole. La pistola, aveva, e ha scaricato su di me un intero caricatore.

Ombra 2: ho telefonato ad un centro contro la violenza alle donne. Mi hanno ascoltato. Ho trovato la forza. Ho denunciato mio marito. E’ stato allontanato. Una mattina mi ha aspettato nel parcheggio del lavoro. Con un coltello.

Ombra 3: L’ho denunciato: mi maltrattava davanti ai nostri due figli. Ho detto basta. Una casa rifugio ci ha accolto. Abbiamo cambiato tutto della nostra vita. Città, luogo, lavoro. Poi mi ha trovata, strangolata e buttata in un pozzo.

Ombra 4: Anch’io l’ho denunciato, abbiamo divorziato. Lui si è licenziato per non pagare gli alimenti ai nostri figli. Ho conosciuto un ragazzo, ci amiamo. Il mio ex mi ha preso a bastonate. Picchiava, picchiava fino a farmi morire nel mio sangue.

CORO: coltello, pistola… strangolata, bastonata

Ombra 5: l’avevo lasciato da sei mesi e una sera sono andata all’ultimo incontro. In periferia. Voleva restituirmi delle fotografie. Mi faccio accompagnare da un’amica che resta in auto. Salgo nella macchina del mio ex. Benzina. Un accendino. Il fuoco mi avvolge.

CORO: bruciata viva…

A me non succederà, mi dicevo. Risolveremo la separazione consensualmente. Il Professore è andato a parlare con mio padre nel suo ufficio. La soluzione, secondo lui, è quella che tutta la famiglia, Matteo, io e i bambini ci trasferiamo a Firenze, perché è impensabile che una persona si voglia separare. NO. A Firenze con lui non ci vado. Vostro Onore, la moglie deve seguire il marito? Non più, lo so. Ma lo sa lei cosa significa sentirsi circondata, tirata da ogni parte, come un oggetto? La legge non tutela la donna oggetto. E la donna oggetto non conta niente. Infatti. Le scuole sono appena finite ma quest’anno non voglio neppure trasferirmi con tutta la famiglia nella villa di Marina Romea come al solito. Voglio pensare alla separazione. Voglio concludere tutto prima dell’inizio del nuovo anno scolastico. Rachele, Leonardo, Giorgino devono avere un po’ di tempo per abituarsi ai nuovi ritmi familiari. Matteo però non sente ragioni: si va tutti al mare. I bambini sono entusiasti, non posso deluderli. Ingoio la rabbia e preparo i bagagli. Agosto. La mia paura si fa realtà. Matteo ha portato i bambini a Firenze dai nonni Cagnoni. Siamo soli in casa. Mi si piazza davanti e dice: guarda io so tutto, so che frequenti Stefano Bezzi perché c’erano delle persone che ti seguivano, ti ho fatto clonare il telefono, sono state messe delle cimici ovunque, ho sentito tutte le conversazioni, quindi io adesso so tutto, ho le prove. Sono seguita da più investigatori, sono controllata in tutto e per tutto. Matteo addirittura è riuscito a mettere un microfono anche dentro la casa di Stefano. Mio marito ha amicizie ovunque. Paga. Pertanto mi ha intimato di seguire le seguenti regole morali: ti vieto assolutamente di vederlo e di sentirlo, perché da questo momento in poi è indispensabile che tu non abbia più contatti con lui, pretendo rispetto nei miei confronti per i prossimi venti, trenta giorni, fino alla firma dell’accordo di separazione. Tutta la notte mi tiene sveglia a parlare, parlare. Mi ha detto: non sopporto che ti sia messa con un camionista ignorante, mi fai perdere la faccia, cosa penserà la gente?, mi prenderanno in giro, non capisci che mi hai disonorato! Sono io che mi voglio separare perché il disonore è troppo. Strano, in un certo senso sono quasi sollevata. Alle prime luci dell’alba riesco ad andare in bagno e inviare un messaggio a Stefano: per fortuna che ci ha scoperti perché sennò non mi avrebbe mai lasciata libera. Ma non è così, Matteo mi sta sempre più addosso. La libertà pare come un miraggio. Sono riuscita a chiamare Betta per un conforto. Lei è preoccupata, mi ha detto: io ho paura per te Giulia e comunque ho paura anch’io di incontrare Matteo, magari, non so, voglia controllare anche il mio telefono, intanto cancello sempre i tuoi messaggi. Quando c’è lui, io non vengo più a trovarti, magari mi fa della domande trabocchetto, tipiche sue, per scoprire se tu gli nascondi qualcosa. Io non voglio entrarci in questa storia. Mi manca Betta. Io e Stefano ci vediamo a distanza e ci sentiamo al telefono. Comunque mi spaventa il solo fatto di sapere che c’è qualcuno che mi spia. Mio fratello mi conforta a suo modo: Ma va là, sei matta, Matteo non arriverà mai a fare una cosa così. Gli ho risposto: no, no, Guido, lui mi riferisce cose che io ho detto in macchina al telefono con mamma, e mi chiede spiegazioni. Vista la mia insistenza, cambia atteggiamento: Se questa è la tua decisione vai avanti, non è un problema, noi siamo qui, anche perché Matteo è uno vendicativo. Ma poi, quando ha saputo di Stefano, mi ha detto che preferisce rimanere fuori dalla questione per rispetto. In pratica fra moglie e marito non mettere il dito. Mia madre invece non è preoccupata, si è lamentata che non gli avessi detto nulla di Stefano: hai fatto male a non fidarti di noi, e se per caso ti separi non è che i bambini dovranno subirne le conseguenze. Ma no – le ho risposto – non volevo darti un dispiacere, i bambini sono le uniche persone che in questo momento mi danno un po’ di allegria. Avviso Matteo che il mio avvocato gli ha spedito la lettera per la separazione, dove si dice che sono decisa a trovare un accordo, ma che intendo fare questa separazione. Mi ha detto che non ha intenzione di andare a ritirare la lettera. Anzi, mi dice: no dai, andiamo tutti e due dal mio avvocato, lasciamo i bambini in questa casa, in via Giordano Bruno, e noi ci alterniamo una settimana per uno; io vado nell’attico di Piazza Mameli, e tu prendi un appartamento in affitto; prenderò un appuntamento. Purché ci si separi, accetto di tutto. Mi promette che non mi farà più controllare dai suoi investigatori. Te lo giuro sulla testa dei miei figli! – ha concluso. Intanto però è sempre più geloso. Stasera durante una cena da una amica ero seduta vicino ad un uomo molto carino nei miei confronti. Dopo, rientrando in auto, mio marito mi ha riaccompagnato a casa furibondo. Poi è uscito nuovamente dicendo: quello lo ammazzo di botte. La mattina dopo Matteo mi ha detto che quell’uomo se n’era andato, per fortuna sua. In questi giorni sono tranquilla solo quando vedo Stefano, anche se non lo posso toccare. Sta sul ciglio di una strada, io dal lato opposto. Ci guardiamo. In tutto il mese di agosto ci siamo visti solo due o tre volte. Oggi ci siamo dati appuntamento alle Bassette su un terreno dei miei. Lo vedo da lontano e ci parliamo al telefono guardandoci, senza però avvicinarci. Stasera mio marito mi ha assalito: Voglio sapere con chi eri al telefono, perché sei scesa dall’auto, per quale motivo sei andata lì, voglio sapere. Ti sputtano davanti ai tuoi figli, così capiscono che persona sei, che sei una poco di buono. Poi più accomodante: Guarda se mi segui a Firenze, se vuoi ti do il divorzio tranquillamente, però a Firenze e ti do anche un autista. La mia risposta è fulminea: Non ci pensare nemmeno, non ci verrò mai a Firenze. E lui mi si scaglia sopra: io ho le prove, le farò vedere al giudice, io ti porterò via i bambini, io ti distruggerò.

CORO: Matteo ha le prove del tradimento… le porterà via i bambini… la distruggerà…

Un pomeriggio Matteo mi chiede: mi dai le chiavi della cassaforte? devo prendere il mio orologio. Ci penso un attimo, poi rispondo: No, non te le do. Lì dentro non c’è il tuo orologio, c’è la tua pistola. Lui ride: Ma cos’è? Hai paura che possa far del male a te o possa far del male a me? Rispondo: ho paura che tu possa fare del male a me. Matteo insiste: tu pensi che avrei bisogno di usare una pistola per farti del male?

CORO: Giulia ha paura che Matteo le faccia del male… Non c’è bisogno di una pistola…

Non reggo più la situazione, siamo già a metà agosto e siamo ancora indietro. Dobbiamo trovare un accordo per la separazione prima dell’inizio delle scuole. Matteo invece la tira per le lunghe e dice che ha paura di finire rovinato come certi suoi amici che si sono visti portar via tutto il patrimonio dalla moglie e si sono trovati senza niente. Io voglio solo la separazione e stare coi miei figli, dei suoi soldi non so che farmene. Lavorerò. Oggi Matteo è arrivato in spiaggia e mi ha letteralmente trascinata via tenendomi un braccio dietro al collo. Era molto agitato, ho capito perché solo quando Stefano mi ha raccontato ciò che aveva fatto quel giorno. Matteo ha aggredito Stefano, che stava scaricando delle borse dall’auto. Matteo si è avvicinato da dietro e l’ha preso a pugni e calci. Stefano gli ha dato uno spintone e si è allontanato prendendo il cellulare: Chiamo i Carabinieri. Matteo è scappato ed è arrivato furioso in spiaggia. Mi ha portato a casa a Ravenna per parlare, parlare per ore. Si è vantato di aver riempito di botte Stefano che è scappato come un codardo, perché non è un uomo alla sua altezza. E’ ossessionato dallo sputtanamento. Mi ha supplicato anche di non dire a nessuno dell’aggressione. Ho paura, paura e non so che fare. So solo che nessuno mi può aiutare, né Stefano, né i miei genitori, né mio fratello, né Betta. Solo io posso riuscire a cambiare le cose. Ma come?

CORO: Matteo trascina Giulia e la prende per il collo… sputtanamento… onore distrutto… solo Giulia può cambiare le cose.

Perché non sono andata a denunciare mio marito per maltrattamenti, violenza psicologica, economica e sessuale? La domanda mi perseguita. Mi sarei salvata? Per quanto mi riguarda, credo di essermi fidata troppo di me stessa. Avrei dovuto almeno provare a chiedere aiuto. Non lo ritenevo opportuno. Avevo paura di creare il peggio: disonorando il padre avrei disonorato i miei figli. Non potevo credere che le cose sarebbero peggiorate comunque. Ogni giorno Matteo me ne dice di tutti i colori. Infama me, la mia famiglia e Stefano. E ogni notte è una tortura di ore e ore. Sembra che perda la ragione. Mi ripete che mi ammazza perché l’ho disonorato. Mi aggrappo ai figli: ma stai scherzando, ma ti rendi conto di quel che dici, e i bambini? Allora cambia improvvisamente e dice: guarda, te lo giuro su Leonardo che non succederà. Mi aggrappo a questa speranza. Non mi farà niente. Eppoi tutto è in mano al mio avvocato. Ci penserà lui. Presto sarò libera, saremo tutti liberi. Invio un messaggio a Stefano: Ti amo. Matteo è andato fuori coi suoi amici. I bambini dormono. Posso continuare a messaggiare. Vorrei venire lì / Mi uccide / Non lo fa / L’ho disonorato / Io ti porto via / Se tu mi porti via perdo i miei figli. Già, ci mancherebbe anche l’abbandono del tetto coniugale. Soprattutto non posso andare via da sola, non posso lasciare i miei bambini, devo rimanere qui. Eppoi come glielo spiego ai bambini? Gli dico: sapete, ho tradito il babbo? Già tremo al pensiero che Matteo metta in atto la sua minaccia. Adesso poi lo dico ai bambini – è l’arma che mi punta contro – gli dico che sei una puttana e vedrai che brutta figura fai di fronte a loro.

CORO: Giulia deve rimanere lì… non può lasciare i bambini… dirà ai bambini che la loro mamma è una puttana.

Matteo mi ha fatto il terzo grado, perché stasera a tavola il mio piccolo ha detto, per caso, che ero andata a telefonare in giardino. E’ vero, per telefonare mi nascondo dietro gli alberi o in bagno. Mi pare di non poter fare più niente in casa mia senza essere spiata. Lui viene sempre a sapere tutto. Non posso neppure telefonare in macchina. Non so come faccia a sapere le parole esatte che ho detto al telefono. Ho ribadito a Matteo che non lo amo, che non mi mancherà, che sono sfinita, che l’ultima volta che mi ha costretto a fare sesso mi ha fatto schifo. Stanotte dormo nella stanza dei bambini. Lì non oserà toccarmi. Invio un messaggio a Stefano: Spero che non mi distrugga. Domattina devo andare nella Villa dei Nonni con Matteo a fotografare dei quadri per la mostra. Non mi fido. Tu non vai – mi ha risposto Stefano. Mi auguro che il disastro non avvenga. Non andare – insiste. Invece vado, anche se non ne ho nessuna voglia. Matteo da solo non è in grado di farlo, non vuole entrare nella Villa dei Nonni. Ha paura. E poi è urgente, siamo al venti agosto e la mostra è imminente. Insomma stavolta ci vado, ma se mi incastra di nuovo in qualcosa di strano, non ci vado più. Matteo ha giurato su Leonardo che non mi farà del male. Siamo andati a fotografare i quadri nella Villa dei Nonni. E’ stata una cosa veloce. Infatti. Quasi normale. Forse si è rassegnato, mi dico. Invece no, Matteo continua a farmi spiare. Ho dei momenti di panico, rischio di giocarmi tutto ogni volta che messaggio o telefono a Stefano, ma non riesco a fare a meno di lui. Intanto nelle occasioni mondane continuo a far vedere a tutti che la nostra famiglia è perfetta. Se non sorrido, poi a casa Matteo mi aggredisce. Stefano mi ripete che devo allontanarmi da casa, e che forse è il caso che io e lui non ci si veda neanche a distanza. Assolutamente no – lo interrompo – sei l’unico mio punto di riferimento, sei la mia forza, bisogna assolutamente che ci sentiamo e che tu mi stia vicino. Io non chiedo niente, chiedo solo di stare con i miei figli e di avere una separazione consensuale. Senza litigi. Che i bambini vengano coinvolti il meno possibile. Come farebbe qualsiasi genitore. Quando sono andata a buttare l’immondizia in fondo alla strada, Matteo è venuto a cercarmi.

CORO: Matteo ha giurato… sulla testa del figlio… non farà del male a Giulia… non le farà del male… l’ha giurato.

Ha giurato, Vostro Onore, ha giurato sul suo figlio più caro. Non sapevo ancora che fosse uno spergiuro. Non ho paura per me, ma ho paura lo stesso. Invio un messaggio a Stefano: ho paura che abbia in mente qualcosa contro di te. Matteo mi ripete che tra me e il camionista ignorante finirà presto e che poi ne cercherò un altro perché sono una poco di buono. Stasera c’è stata una cosa nuova a cui pensare. Matteo mi ha detto: ho un bel programmino per voi… Gli ho chiesto cosa intende dire. Non risponde, sogghigna. Matteo mi ha detto che devo portargli rispetto per un mese, perché l’ho disonorato, a lui non interessa se Stefano mi ama, il punto è che non è al suo livello sociale. Allora gli ho risposto che il suo livello sociale mi ha altamente rotto e che se lo tenga, non l’ho mai desiderato. Matteo vuol passare per un Gran Signore. Superiore. Più. Forse sarebbe stato possibile risolvere le cose fra noi sei mesi fa, ma non adesso che mi fa passare da puttana con tutto il parentado. Troppo comodo non prendersi nessuna responsabilità, ma io non sono una puttana. Prima di Stefano stavo già male da tempo per le sue prepotenze e manipolazioni. Adesso dice che l’ho disonorato.

CORO: Giulia è una puttana… Matteo è un Gran Signore… Giulia l’ha disonorato…

Sono decisa, superdecisa, è solo che siamo in trattative per la separazione e devo stare al suo gioco. Non voglio stare con lui, non lo sopporto, mi repelle. Sono in casa con uno stronzo vendicativo con cui devo gestire i nostri tre figli. Ed è pure psicopatico. Ma succede anche che mi sento in colpa per tutto. E vado avanti lo stesso stringendo la calma coi denti. Questa è la psicologia di Matteo. Gira le cose in modo da trovare una spiegazione a suo favore e a farmi cadere in contraddizione. Alla fine chi sbaglia sono sempre io. La colpa è mia anche se piove all’improvviso. Devo far presto, devo concludere la separazione subito. Devo concludere questa tortura soprattutto per i bambini. Più vivono in questa situazione più prendono il cattivo esempio. Non vorrei che i maschi diventassero aggressivi come il padre. La competitività, già gliel’ha trasmessa. La bambina è molto sveglia, acuta, più riflessiva. Spero non abbia preso da me la remissività. Rachele ha già capito tutto, sa che io e suo padre litighiamo. L’ho saputo da mia madre. Mi ha detto che la bambina si colpevolizza perché pensa che litighiamo per lei, spesso vuol fare delle cose che il padre non le permette: non la lascia andare alle feste delle compagne di scuola, prima dice di sì, poi all’ultimo momento non la fa andare; vorrebbe farsi i fori nelle orecchie come tutte le bambine, ma lui dice che è roba da prostitute. Le ha detto – racconta mia madre – che sono una nonna civetta, perché viaggio sempre e ho tanti amici. Rachele le ha confidato anche che io non posso uscire con le amiche perché il babbo non vuole. Le ha poi raccontato di quella sera che Matteo mi ha telefonato per chiedermi: dove siete? in casa?, mandami una foto! Ricordo bene che quella sera io e i bambini ci siamo fatti un selfie per mandarglielo. Ci siamo divertiti a farlo, ma mi ha dato fastidio. Solo ora so perché. Rachele ha capito che suo padre mi controlla e mi ossessiona. La rassicuro: abbiamo qualche problema, ma lo stiamo risolvendo. Ci abbracciamo strette, strette. Ti voglio bene. Buonanotte. Non voglio piangere, ma ormai le lacrime vengono fuori da sole. Vorrei raccontarle tutto. Farle capire perché voglio separarmi da suo padre. Son certa che capirebbe. Vorrei parlarle di Stefano. Dell’amore, ora che so cos’è. Non posso: Matteo me l’ha vietato. Da qualche giorno cerchiamo di stare con i bambini separatamente. Così si abituano, sostiene Matteo. Non sono d’accordo. I bambini hanno diritto di sapere. Troverei le parole e i modi giusti per dire la verità. Sarei cauta, amorevole, come sono. Anche suo padre, il Professore, non vuole. Mi ha imposto, col suo fare da Signore: non mischiare le tue faccende private, con la famiglia. Vostro Onore, membri della Giuria, ancora una volta, la Famiglia mi ha tolto il diritto alla parola. Così quando guardo i miei bambini negli occhi, mi perdo.

CORO: La colpa è di Giulia… non ha diritto di parola… si perde negli occhi dei suoi bambini.

Alla fine di agosto, finalmente raggiungiamo un accordo per la separazione, più o meno pacificamente. I bambini rimarranno in questa casa e noi ci alterniamo. Matteo provvederà alle spese per il loro mantenimento. Io invece non devo più mettere piede né nella villa di Marina Romea, né nella casa di Cortina d’Ampezzo. Manca qualcosa ancora, però, a grandi linee, abbiamo chiarito. Una nuova seccatura: Matteo sostiene che si spende troppo a tenere due avvocati distinti. Andiamo dallo stesso avvocato, senza ricorrere ai Tribunali – mi ha proposto – un avvocato che sia super partes. Ce n’è uno a Forlì che fa al caso nostro, però devi revocare l’incarico al tuo avvocato, così è la prassi. Non so… se lo dice lui… Matteo continua: Ho già preso un appuntamento per il 13 settembre.

CORO: un avvocato super partes…

Matteo ha già preso l’appuntamento Il 13 settembre saremo tutti liberi. Un sospiro di sollievo: mancano pochi giorni. Da qualche tempo, Matteo mi ripete che ci farà un regalo, un regalo per me e Stefano. Sarai libera, conclude. Ma il modo con cui lo dice mi incute terrore. Non capisco. Che abbia in mente di fare qualcosa ai miei genitori? Oppure una cattiveria o del male a Stefano? Gli ho chiesto cos’è questo regalo, ma lui sta zitto. Forse intende far fare una verifica fiscale nell’azienda dei miei. Sento che qualcosa non va. Stefano è molto preoccupato. Vorrebbe andare a parlare con mio padre, ma è meglio non mettere in mezzo le famiglie. Vorrebbe incontrare mio fratello. Gli dico di star tranquillo. A me basta sentire la sua voce, che già mi sento meglio. Per tranquillizzarlo gli ho promesso: farò sempre in modo che ci sentiamo, però se inizi a non sentirmi per sette, otto ore, non stare lì a casa e far finta di niente, cioè cerca di capire dove sono. Intanto continuo sempre più a fatica a stare con Matteo in mezzo alla gente con questa parvenza di sorriso, di famiglia che non esiste più. Me lo devi, è un atto dovuto! – urla. Comunque in mezzo alla gente mi sento un po’ più tranquilla, è anche un modo per non stare sola con lui. Così mi dico: accontentiamolo. Anche perché se non sorrido e faccio la carina come vuole lui, se non dico quello che vuole lui, quando torniamo a casa sono litigate serie. Figuracce in pubblico non le voglio fare, hai capito? – urla – Tutto deve essere perfetto. Tutto deve essere perfetto, tranne lui. Qua a Marina Romea non c’è più nessuno e non mi piace stare in una zona così isolata e disabitata. Per fortuna domani ci trasferiamo a Ravenna, dove mi sento più sicura. Riprenderò le mie abitudini, poi iniziano le scuole, le palestre, i corsi. In casa c’è la Tata dei bambini, mi sento più tranquilla.

CORO: lo deve a Matteo… è un atto dovuto… accontentiamolo… tutto deve essere perfetto.

Finalmente è il 13 settembre. Andiamo dall’avvocato super partes di Forlì, per l’accordo di separazione. E’ una donna. Prima ancora che io mi sieda mi dice: Allora signora, l’avviso subito che non ha diritto a niente, anzi, si preoccupi di vedere quanto può versare, lei, per il mantenimento dei figli, perché il mio assistito praticamente è nullatenente, non è più in possesso di beni mobili, immobili, titoli e investimenti vari. Finita la tirata, resto allibita. Non capisco bene: Matteo è nullatenente? Sento confusamente l’elenco delle condizioni: un assegno di mantenimento a me di mille euro e ai figli tremilaseicento al mese; l’affidamento dei bambini è condiviso e non è in discussione. Il loro collocamento è un po’ problematico. I bambini rimangono nella casa coniugale e noi ci alterneremo. Pretendo che l’accordo venga formalizzato e portato al Presidente del tribunale, per mettere dei paletti, su quando ci sta uno e quando ci sta l’altro, le ferie estive, Pasqua, Natale, le vacanze invernali. E’ inteso che il mantenimento di tutti sarà a carico del Professore. Matteo tronca ogni mio commento: Io vorrei che lei, avvocato, dicesse a mia moglie che non deve frequentare quel signore, perlomeno fino a quando risultiamo sposati e soprattutto le dica che non lo faccia entrare in casa nostra. Basta. Mi alzo e me ne vado. Che strega questa donna. Non faccio nessun accordo. Tornerò dal mio avvocato. Come si permette di dirmi chi devo frequentare?

CORO: Matteo è nullatenente…Giulia ha detto basta…

Non posso crederci. Sono infuriata. Sono sempre più determinata a separarmi. Anche con una giudiziale. Lo psicologo di coppia mi ha definito passiva. Passiva io? Non più. Mi sento coraggiosa, sì coraggiosa. A parte Stefano, sono sola contro mio marito. Pur di arrivare alla separazione, accetto ogni passo necessario. Intanto vado a cercare Stefano nel suo ufficio. Ho bisogno di raccontargli tutto dall’incontro con quella strega. Matteo pretende che non ti veda più fino a che siamo sposati – incomincio – Come può solo pensarlo? Sono un individuo, ho la mia volontà, ha finito di comandare. Io ti amo. Mio marito mi ha preso in giro. Non solo, anche il Professore, suo padre, mi ha preso in giro. Ha sempre giocato un ruolo importante nel nostro matrimonio, ha mediato, si è messo in mezzo. Anche adesso per la separazione. Non mi ha mai trattato come una principessa, come sostiene, ma mi ha usato per gli interessi della Famiglia. Bugie. Bugie. Come Matteo. Bugie trasmesse da Padre in Figlio. Un disturbo ereditario? Nessuno mi ha avvertita che Matteo è nullatenente già da marzo e che ha quasi regalato a suo fratello tutto il suo patrimonio, anche la casa dove dovrebbero stare i bambini. Ma, quel che è peggio, alla fin fine sono costretta sempre a parlare col Professore, perché con Matteo non si ragiona. Finito lo sfogo, mi manca l’aria tanto sono angosciata. Stefano mi accompagna fuori. Ormai è ora che vada. Sono qui da due ore. Mentre ci salutiamo, una Fiat Punto entra all’interno del piazzale. Si gira, va via, rientra. Avanti e indietro dalla Romea. Alla guida c’è una persona con una cosa nera in mano. Una telecamera. Qualcuno ci sta riprendendo. Salgo in auto e parto. La stessa utilitaria la vedo anche a Fornace Zarattini. Prendo giù il numero di targa. L’ho dato a Stefano che si è informato: appartiene ad un cittadino privato. Entrambi siamo certi che si tratti della spia di Matteo. Intanto faccio controllare la mia auto per vedere se sono stati installati dei gps. Venerdì 16 settembre farò controllare anche la Mercedes di mia madre. Matteo continua a dare la colpa alla nostra relazione per la fine del matrimonio. Però ha detto che mi lascia libera. Mi ha detto che devo andare di nuovo con lui a ri-fotografare un quadro, perché la foto fatta l’altro mese non è venuta bene a fuoco. Mi ha fatto una testa così con quel quadro: siccome l’abbiamo comprato metà per ciascuno, se lo vendiamo ci dividiamo i soldi…col tempo è cresciuto di valore… c’è un gallerista interessato a comprarlo… sessantamila euro… Lo conosco bene quel quadro. E’ Narciso. Metà nero, metà arancione. L’abbiamo comprato insieme, ma perché piaceva a lui, non a me. Stava in salotto, ma durante la gravidanza mi inquietava. Troppo cupo quel Narciso. Quindi l’ho fatto portare nella Villa dei Nonni. A me non interessa che Matteo mi dia la metà dei soldi, ma quando l’ho detto a mia madre si è scandalizzata: come non ti interessa? – e scuotendo la testa – Sei sempre la solita principessa. Prendili. In fondo fanno parte della vostra vita. Mi tocca andare di nuovo. Quel quadro continua a perseguitarmi. Avevo detto che non l’avrei più accompagnato. Questa è l’ultima volta davvero. Ripeto a me stessa le avvertenze che ho sentito da qualche parte: mai accettare l’ultimo appuntamento, è il più pericoloso, è quello fatale. Ma questo non è un appuntamento, è per chiudere finalmente con Narciso e poi lui ha giurato sul figlio. Vostro Onore? Come si fa a sapere che quello è l’ultimo appuntamento?

CORO:… questa è l’ultima volta davvero… è l’ultima volta… avvertenze, avvertenze.

Fu davvero l’ultima volta. Matteo aveva giurato il falso. Mi sono fidata di una bugia. Oggi è il compleanno di Giorgino. E’ nato tre anni fa, il 15 settembre. Ho organizzato una bella festa, con tantissimi amichetti dei bambini. Oggi è anche il primo giorno di scuola di Rachele e Leonardo. La loro emozione mi ha messo allegria. Ho tutto sotto controllo. Sono andata anche da Marchesini a comprare le costine di maiale per stasera. Sarà come proseguire la festa per i bambini. Stamattina mi sono messa d’accordo con Stefano per vederci domattina. Dopo aver portato i bambini a scuola, mi accompagna a Forlì a far bonificare l’auto di mia madre. Insomma verificare che non ci siano gps o altro. Così potrò spostarmi senza che mio marito sappia dove sono, cosa faccio, con chi parlo, con chi mi vedo. Ho telefonato anche al mio avvocato per dirgli dell’accordo saltato e che Matteo è nullatenente. Ha detto che farà gli accertamenti catastali e che lunedì mi saprà dire. La festa è per le sei di pomeriggio. I regali li abbiamo presi. Mancano la torta e i salatini. Li sta andando a prendere Matteo. Non capisco, è già in ritardo di un’ora. Poi tutto s’infila. I bambini si divertono. Per un attimo dimentico e mi riempio della loro bellezza. Alla sera siamo tutti stremati di dolci e pizzette. Le costine di maiale le farò domani sera. Prima di dormire invio un messaggio a Stefano: buonanotte, a domattina, amore mio.

CORO: buonanotte amore mio… amore mio… a domattina…

Stamattina va tutto storto. Matteo mi ha svegliato con una gran fretta addosso. Non sono neppure riuscita a dare il buongiorno a Stefano. Spero non si preoccupi, non è mai successo prima. Cominciamo ad avere delle abitudini tutte nostre. Mio marito non mi ha lasciato sola neppure nel mio bagno. Dice che l’altro è intasato. Facciamo colazione. C‘è ancora un po’ di torta della festa. I bambini sono allegri, oggi è già il secondo giorno di scuola e sono meno ansiosi di ieri. Hanno trovato le solite maestre e i soliti compagni. Ancora non capisco questa nuova regola imposta da Matteo. Mentre ho sempre accompagnato i bambini a scuola da sola, adesso non vuole più: deve esserci anche lui, dobbiamo andarci assieme. Giulia porta pazienza. Matteo mi sta appiccicato addosso e non si distrae un attimo. Penso a Stefano. Spero non sia in ansia. Comunque fra poco ci incontriamo. Otto e mezza, otto e tre quarti. Appena abbiamo lasciato i bambini a scuola, Matteo va a Bologna perché deve fare ambulatorio al Toniolo. Primo contrattempo: Matteo vuole che andiamo a rifotografare un quadro nella Villa dei Nonni prima di andare al Bologna. Secondo contrattempo: Matteo vuol pure andare a far colazione in pasticceria. Una colazione lunga che non finisce mai. Lui parla, parla, senza fermarsi un attimo e scuote le gambe sotto il tavolo: deve fare assolutamente quella foto, subito, perché il mercante d’arte la sta aspettando. Almeno che facciamo presto, mi dico. Sento pulsare il cellulare. Sono certa che si tratta di Stefano che mi cerca. Se devo dire la verità non mi sento tranquilla, ma poi mi ripeto che ha giurato sulla testa di Leonardo. Non mi farà niente. Leonardo è sempre stato il suo preferito. Il primo figlio Maschio, diceva. Il suo erede. Sono certa che non mi succederà niente. Secondo il suo codice d’onore un padre non può tradire il figlio. Eccoci alla Villa dei Nonni. Scendiamo dalla Mercedes ed entriamo nel cancello. Poi in casa. Saliamo lo scalone. Il Narciso è di sopra, nel ballatoio. Posato per terra, abbandonato fra gli altri. Matteo solleva un quadro molto scuro e me lo porge. Non posso fare a meno di guardare quel Narciso fra la polvere! Pronta per la foto? In piedi, tengo il quadro sollevato, davanti al bacino. Clic. Guardo la foto sul display. Il quadro è a fuoco. Al centro. Matteo trova che vada bene. A me pare scuro ma non dico niente. Ora lo deve inviare. Ho fretta, voglio andarmene di qui. Fisso il Narciso. Posato per terra, fra la polvere, abbandonato. Inquietante. Nero. Arancione. Un rumore dentro la testa. L’arancione si frantuma nel nero. Lentamente. Non posso lasciare i miei bambini…

CORO: Giulia non può lasciare i suoi bambini…

Signori Giurati, signori della Corte, ora sta a Voi il difficile compito di quantificare la portata del male che è stato fatto da Matteo Cagnoni, non solo a me. E’ questo il regalo che Matteo ha promesso a me e Stefano? I miei tre bambini non hanno più la mamma. Matteo Cagnoni ha bruscamente interrotto la loro infanzia. Continuando a professarsi innocente, nonostante la probabile condanna, farà vivere i miei figli nel dubbio. Togliendo anche a loro la libertà di scegliere chi amare, di fidarsi dell’amore. Signori della Corte: la giustizia terrena non mi tocca più. Le parole che userete nella Vostra sentenza però toccheranno tutti. Perché la Vostra sentenza farà giurisprudenza. Certo farà Cultura. La Vostra sentenza sarà emessa in Nome del Popolo. In nome di tutte e tutti noi. Io, Giulia, compresa. Non basta una sentenza per riequilibrare la disparità di potere fra donne e uomini. E’ un lavoro lungo, ma oggi serve un ulteriore passo in avanti. Oggi servono parole importanti, le Vostre parole, perché Voi siete una Istituzione, rappresentate la Magistratura. La Giustizia. Ogni cambiamento ha bisogno di pensieri e parole coraggiose. La Giustizia ha bisogno di parole giuste. Le parole non sono neutre.

CORO: le parole non sono neutre… la giustizia ha bisogno di parole giuste.

Ciò che Vi chiedo è dunque di scandire parole coraggiose, che dicano che il femminicidio non è un fenomeno: il femminicidio è sistemico e non occasionale, strutturale e non frutto di raptus, troppo amore o gelosia. Proprio in questi giorni, di fronte all’ennesimo femminicidio, un quotidiano locale ha titolato: Amore assassino! Riecheggia nell’aria la storia di Francesca da Polenta, la mia testimone, arrabbiata con Dante per averle fatto dire ‘Amor condusse noi ad una morte’. Accadde tredici secoli fa. E non fu il titolo di un giornale, bensì un verso della Divina Commedia. Quante donne sono state uccise dal marito, compagno o ex sotto la copertura dell’amore? Quante? E’ Francesca a suggerirmi la risposta: sono tremila, dal 2000 al 2015, solo in Italia. Tremila femminicidi. Ciò significa che tremila uomini hanno ucciso tremila donne. Lo so, la Corte di Giustizia verifica le prove, individua le colpe, stabilisce le pene, ma le donne, e i loro figli, hanno bisogno di giustizia prima ancora che il responsabile della loro morte finisca in Tribunale. Pensate a quante donne, in questo preciso istante, sono in pericolo, in bilico fra la vita e la morte. E sono sole, si sentono sole, non sanno con chi confidarsi, con chi parlare, ma non sanno neanche chi ascoltare, a chi credere. Ogni sessanta ore una donna viene uccisa dal marito, compagno o ex. Ogni sessanta ore un uomo uccide la sua moglie, compagna o ex. Perché gli uomini uccidono le donne?

CORO: Perché gli uomini uccidono le donne?

Vostro Onore, membri della Giuria popolare, la pena inflitta da Dante a Gianciotto, per aver tradito i parenti, fu di restare immobile tra il ghiaccio del Cocito, dove “Caina attende chi a vita ci spense”. Questa Corte d’Assise può andare oltre. La strage femminicida avviene perché i rapporti fra i sessi sono tuttora fondati su pregiudizi, stereotipi, luoghi comuni, come tredici secoli fa.

CORO: questa Corte d’Assise può andare oltre…

Giulia si ritira e torna Ombra fra le Ombre. Si spengono le luci in aula, il pubblico se ne va e tutte le Ombre svaniscono. Ci si aspetta un’ultima dichiarazione spontanea dell’imputato, poco prima che la Corte si ritiri in Camera di Consiglio. L’imputato ci tiene ad aver l’ultima parola. Stavolta non sarà così. L‘ultima parola spetta alla Corte. In nome di tutte e tutti. Venerdì prossimo, il 22 giugno, per la lettura della sentenza in aula indosserò scarpe rosse per tutte le donne uccide dal marito o compagno o ex.

CORO: donne e uomini indosseranno scarpe rosse per tutte noi.

L’articolo è di Carla Baroncelli.

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