Le prime parole che ci sentiamo di pronunciare dopo la sentenza che ha condannato Matteo Cagnoni all’ergastolo per il femminicidio di sua moglie Giulia Ballestri, sono le stesse usate dalla P.M Cristina D’Aniello: risposta di giustizia per Giulia.
Una sentenza giusta, che non ci induce all’esultanza, perché una giovane donna è stata uccisa, la sua vita annientata, i suoi tre figli rimasti orfani. Non esultiamo e non sottovalutiamo l’importanza di questa sentenza.
Ci siamo costituite parte civile, perché abbiamo da subito riconosciuto nell’orribile morte di Giulia la matrice fondante del femminicidio, non un raptus, l’impeto scatenato da un eccesso di follia, ma la lucida intenzionale volontà di sopprimere Giulia e con lei il suo desiderio di rifarsi una vita e di sottrarsi alla gabbia in cui si sentiva costretta.
Ci siamo costituite, perché in Giulia ci siamo riconosciute, noi donne della sua e di altre generazioni, di altre condizioni sociali e formazione culturale, perché quello che le è accaduto è quello che da tempo denunciamo: tante, troppe donne vengono uccise per mano maschile solo perché vogliono liberarsi da relazioni soffocanti e insopportabili e ad ucciderle sono uomini ricchi, colti e potenti come uomini poveri e ignoranti.
I femminicidi, abbiamo detto, non hanno confini, travalicano e superano le differenze di status, di condizione economica, di educazione, di religione, di territori.
C’è un filo che li accomuna tutti, ben radicato nelle culture di tutto il mondo, che si chiama patriarcato e si manifesta con il suo potere anche dove stentiamo a riconoscerlo, nella quotidianità dei nostri giorni e delle nostre vite, assegnando a noi donne un ruolo ben preciso, quello di “ stare al nostro posto”, perché l’altro posto è già occupato dall’autorità e dalla guida maschile.
Guai a sottrarsi, aprire il conflitto può essere fatale.
Queste sono state le ragioni che ci hanno spinto ad entrare nel processo per Giulia Ballestri e che abbiamo esposto attraverso la nostra avvocata Sonia Lama nel corso della presentazione della nostra richiesta e poi nel dibattimento. Siamo state contente che queste motivazioni siano state riconosciute e accolte. Ora aspettiamo di conoscere le motivazioni della sentenza emessa ieri perché, al di là del merito giudiziario, ci interessa capire quanto della nostra critica radicale del sistema patriarcale arcaico che sta all’origine, sempre, dei femminicidi e di quello di Giulia in modo inequivocabile, sia stato recepito e accolto.
Ci interessa, perché è urgente che anche nel campo della giustizia, nelle aule dei tribunali, si diffondano e vengano recepite nuove consapevolezze, si accolgano nuovi contenuti, adeguandovi l’uso delle parole e del linguaggio. E siamo soddisfatte che grazie a noi, alle altre parti civili e alla narrazione femminista di tutte le udienze del processo della nostra amica scrittrice Carla Baroncelli, nella aula della Corte di Assise di Ravenna si siano sentite le parole e i pensieri che tanto ci stanno a cuore, femminicidio e, soprattutto, la voce di Giulia, risuonata attraverso le parole straordinarie della PM D’Aniello.
Destineremo, come già dichiarato, la somma del risarcimento ottenuto ai due progetti individuati: la pubblicazione e diffusione non solo a livello locale del libro che raccoglie le “ Ombre di una processo” di Carla perché pensiamo sia uno sguardo originale e significativo anche per altri processi, e i corsi indirizzati a studenti e docenti delle scuole di diversi ordini e gradi, per continuare il nostro lavoro di educazione alla parità fra i sessi, contro ogni forma di discriminazione per la prevenzione della violenza di genere.
Udi Ravenna, 23 giugno 2018