25 novembre 2020
GIORNATA INTERNAZIONALE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE
Un anno, il 2020, che non dimenticheremo facilmente: donne, uomini, istituzioni, in Italia e nel mondo, impreparati, sorpresi, travolti da un evento grave e sconosciuto. Dolore e perdite si sono sommati ai problemi del passato e del presente, moltiplicandoli, aggiungendo paura e limitazioni.
Le difficoltà delle donne si sono raddoppiate in tutti i campi: nel lavoro, nella cura dei figli, nella necessità di contrattare spazi e libertà, mentre la pandemia le chiudeva, invece, sempre di più. I Centri, gli Sportelli contro la violenza, le Associazioni femminili fra cui l’UDI in prima linea, hanno denunciato come grave problema il calo iniziale della richiesta di aiuto da parte delle donne a fronte di un tasso di violenza domestica che si immaginava in crescita, come poi i dati hanno confermato quando le campagne di informazione sul 1522 sono ripartite.
Poi, di nuovo, quello che in realtà non è mai cessato, ma solo nascosto dalla emergenza sanitaria sempre in prima pagina: abbiamo rivisto stupri, violenze, persecuzioni, femminicidi e figlicidi, perfino sentenze infarcite di maschilismo e sessismo, cronache dei giornali all’anno zero per correttezza di informazione e di linguaggio.
Applicare la Convenzione di Istanbul per stare davvero dalla parte delle donne Noi, donna dopo donna, talvolta anche uccise con i figli, le abbiamo contate, in alcuni casi ci siamo anche costituite parte civile nei processi penali, senza mai mollare; abbiamo denunciato l’omertà di certa stampa, le cameratesche cronache dove lui è un brav’uomo, gran lavoratore e se ha ucciso qualche ragione ci sarà. “Diffamazione a mezzo stampa”, potremmo davvero invocare questo reato per le “penne” compiacenti.
Ora, in occasione di questo 25 novembre, di nuovo in “emergenza pandemia”, ancora una volta come tante volte nel passato, dobbiamo denunciare che non si sono adeguate abbastanza le nostre leggi e politiche alla Convenzione di Istanbul e quanti danni questo mancato adeguamento ha comportato e comporta. Il supporto ancora insufficiente delle donne, di bambini e bambine nella violenza subita e in quella assistita, nei percorsi che una donna maltrattata compie, quando denuncia, quando cerca una sistemazione per sé e per i figli, quando vuole recuperare o intraprendere un percorso lavorativo, nei contatti con i servizi sociali, infine nelle aule dei tribunali, questo mancato sostegno previsto invece dalla Convenzione di Istanbul, si traduce in una enorme difficoltà per le donne di uscire dalla violenza, e in una estrema facilità per gli uomini violenti di sottrarsi alle loro responsabilità.
Perché viene usata così poco la norma che prevede l’allontanamento dei familiari violenti come invece la legge del 2001 già prevede. Se mancano i fondamentali della sicurezza e del supporto, che senso può avere invitare le donne a denunciare? È in questa ottica che, dopo la ratifica da parte dell’ Europa della Convenzione OIL 190/2019 (con il voto favorevole dell’Italia), Convenzione ora in discussione anche nel Parlamento italiano, Contro la violenza e le molestie sessuali nei luoghi di lavoro, abbiamo raccolto firme, in piena pandemia, a sostegno di una Petizione affinché le raccomandazioni della Convenzione si concretizzino, in Italia, in due azioni fondamentali: 1)- inserimento delle molestie sessuali sul lavoro nel decreto 81, Testo unico sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e 2)- inserimento nella formazione anti-infortunio, obbligatoria, di una formazione su come riconoscere, prevenire e contrastare le molestie nei luoghi di lavoro. Assimilando dunque, di fatto, le molestie a infortuni sul lavoro. Prima le donne Questo 25 Novembre, solo apparentemente silenziato dalla pandemia, in realtà è denso di dibattiti ed iniziative, seppure on line, e le donne, le associazioni di nuovo, come in Marzo, come per tutto l’anno, tutti gli anni, indicano nella violenza dilagante contro le donne un’altra grande emergenza dimenticata, dove di fondamentale importanza risulta anche una discussione su come si spendono le risorse destinate alle donne e come si riscrive il Piano nazionale contro la violenza maschile contro le donne, arrivato ora a scadenza. Fra i tanti temi su cui chiedere attenzione ne segnaliamo uno perché ci sembra ben rappresentare il continuo rischio di uno strapotere maschile, anche quando si presenti con un volto accattivante e amichevole. Ci interroghiamo, infatti, con franchezza, sul perché’ il finanziamento agli sportelli/centri per uomini maltrattanti venga annoverato nella sfera della prevenzione, visto che, nel migliore dei casi, si tratta di tentativi di recupero di soggetti che hanno già compiuto condotte violente.
Da tempo diciamo che la violenza contro le donne è soprattutto una questione maschile. Sono, infatti, uomini, di tutte le condizioni sociali e di tutte le età, quelli che commettono violenza contro le donne e sono stati uomini quelli che nel passato l’hanno perfino legittimata, attraverso leggi, pensiamo al delitto d’onore, al matrimonio riparatore e allo ius corrigendi, sostenuto da una giurisprudenza favorevole. Anche sugli uomini ha, infatti, agito il patriarcato, trasmettendo una modalità del rapporto tra i sessi fondata sul dominio maschile e la subordinazione femminile, condizionando di conseguenza la loro mentalità e i loro comportamenti, essendo anche immersi in una complicità sociale che glielo consente e lo incentiva. La relazione asimmetrica tra i sessi non ha, dunque, nulla di naturale ma è un prodotto culturale.
Occorre quindi che gli uomini invece di rimuovere, quando va bene, il problema e quando va male minimizzarlo, o ignorarlo come marginale, al massimo prendendo le distanze dagli autori dei crimini, visti come mostri incapaci di controllare le proprie pulsioni, guardino invece dentro di sé, si interroghino, prendano coscienza e mettano in discussione il modello di virilità ereditato dal passato. Solo attraverso una rivoluzione culturale e simbolica è, infatti, possibile prevenire seriamente ed in modo duraturo la violenza contro le donne. Questa trasformazione culturale deve investire tutto il percorso della formazione, dalla scuola dell’infanzia, all’università e anche oltre, decostruendo la cultura sessista che è sotto gli occhi di tutti nei media, nel lavoro, nelle famiglie, nella società intera.
Per quanto riguarda il fondamentale percorso formativo costituito dalla scuola si tratta di rivedere l’impianto patriarcale dell’istituzione scolastica, di analizzare criticamente la cultura androcentrica che ancora oggi viene trasmessa come fosse neutra e universale, di introdurre lo studio delle tante figure femminili ignorate, cancellate dalla cultura ufficiale, di formare adeguatamente le/i docenti e, più in generale, costruire le condizioni per un’analisi critica di come la violenza maschile sulle donne sia considerato un dato naturale e fisiologico nella storia dell’umanità anche nell’università .
Questa per noi è prevenzione della violenza maschile. Alle donne le risorse per le donne Parliamo allora dei CAM (Centri ascolto uomini maltrattanti) e di altri sportelli pubblici o privati che stanno moltiplicandosi. Difficile vederli, come invece spesso vengono presentati come strutture volte alla prevenzione della violenza contro le donne. Si tratta infatti, per la stragrande maggioranza, di servizi per uomini che hanno già commesso abusi più o meno gravi, rivolgendosi ai quali, come prevede anche il Codice rosso, i “maltrattanti” hanno diritto ad una sospensione condizionale della pena, e comunque a qualche forma di attenuante. Si vogliono scongiurare recidive? Ma quante volte invece abbiamo visto il contrario e cioè che sconti, attenuanti, benefit vari siano utilizzati per ritornare a colpire, a tormentare, talvolta ad uccidere.
Sicuramente questi uomini, costituendo un pericolo per le donne innanzi tutto, per sé stessi e per la collettività tutta, vanno “seguiti” là dove manifestino la volontà di uscire dalla violenza che esercitano, ma non vorremmo che si arrivasse al paradosso di un sostegno che si ritorca ancora una volta contro le donne. Anche alla luce di questa nuova realtà, le risorse del Piano nazionale contro la violenza sulle donne vanno aumentate, e soprattutto vanno definiti in modo preciso gli obiettivi dei finanziamenti agli sportelli/centri per uomini maltrattanti, e verificata altresì l’efficacia dei percorsi di recupero. Si applichi appieno la Convenzione di Istanbul soprattutto sulla prevenzione, si impegni il massimo delle risorse, con strumenti efficaci, direttamente per le donne maltrattate, si crei una cultura giuridica equa nei confronti delle donne, si vieti alla PAS di entrare nei tribunali, si dia certezza della pena e anche gli uomini violenti capiranno che non avranno attenuanti per le loro responsabilità.
Roma 25 novembre 2020
Udi Nazionale