OMBRE DI UN PROCESSO / 23 di Carla Baroncelli

26 marzo 2018 – VENTESIMA UDIENZA – PROCESSO CONTRO MATTEO CAGNONI PER IL FEMMINICIDIO DI GIULIA BALLESTRI

Continua la rassegna cinematografica UN FEMMINICIDIO OGNI 60 ORE.
Oggi, ventesima udienza, abbiamo visto la seconda parte del film NON MI DICHIARO RESPONSABILE.
Ma Matteo Cagnoni, regista della prima parte, è stato esautorato. Il Presidente della Corte, Corrado Schiaretti, ha preso in mano la regia e ha diretto l’udienza come un Hitchcock.
L’imputato stesso, che ammette di sentirsi “impreparato”, (Ahi, ahi, coach Trombini!), oggi sta seduto e composto. “Sedato”, dice. Sedato? “Nell’interrogatorio a Firenze lo ero il doppio”. Pare che cominci già col mettere le mani avanti.
L’imputato continua a distribuire colpe, ma la sua boria oggi è sflilacciata.
Acrobatismi funambolici. Pittoreschi e creativi. Usa sapiente alternanza di”non ho un ricordo preciso”, “forse”, per dire che la COLPA è del carcere: “Là dentro tempo e date sono relative”.
Appeso ad un filo giustifica:
– se non ha parlato prima d’ora dei pantaloni che aveva addosso il giorno del femminicidio, dati per dispersi, è perché non gli sono stati chiesti. Erano in valigia. Saltano fuori adesso? E’ COLPA del “mio avvocato che non ha voluto li consegnassi prima”;
– “Quello che conta è che quella finestra era aperta, ed è stata chiusa dagli inquirenti”, da lì è passato l’assassino. Dunque è COLPA degli inquirenti: potrebbero aver inquinato le prove;
– una Voyager nera va nella Villa del Nonno il giorno prima e il giorno dopo il femminicidio. “Non ero io. Non sono l’unico ad avere un Voyager nero.”. La COLPA è della Crysler, che produce tanti altri Voyager; le due chiamate che Giulia riceve quel venerdì mattina sono, secondo lui, una questione “irrilevante”. Ma sono registrate in segreteria telefonica, quindi la PM va dritta in picchiata: “Lo sa perché non è irrilevante, mentre lei dice che Giulia riceveva quella telefonata, qualcuno la stava ammazzando”;
– il sesso a pagamento con la prostituta, è stato per COLPA “del nostro gruppo di sposati, usavamo a turno la stessa Sim”;
– l’incarico agli investigatori è stato chiuso il giorno prima del femminicidio di Giulia per COLPA dell’agenzia, troppo costosa.
E così via.
Dissolvenza incrociata sulle nuove svalutazioni di Giulia.
La parola che spicca per prima è FABULANTE.
La PM chiede all’imputato”Perché Giulia scrive a Stefano Bezzi, riferendosi a lei: ‘mi uccide, dice che l’ho disonorato?'”. Lui risponde: “Giulia era Fabulante in quel momento”. Fabulante è ‘chi racconta senza distinguere fra realtà e immaginazione, tramite ragionamenti privi di coerenza spazio – temporale’. Giulia era Falsa, Incoerente.
Non frequenta le amiche, non perché lui non voglia, ma perché Giulia è anche Pigra.
Quando Giulia confida alle amiche che lui la costringe a far sesso, lo fa perché cerca di “giustificare il suo senso di colpa per la relazione con l’amante” e quando Giulia racconta che lui è ossessivo e oppressivo, lo fa “per trovare una sponda”. Perché “Giulia aveva una buona intelligenza speculativa”. (L’intelligenza speculativa contiene sia lo spirito critico e l’attenta valutazione di qualcosa da sfruttare a proprio vantaggio, sia la contemplazione e l’astrattezza. E’ quindi lontana dalla concretezza del buon senso e estranea al corretto metodo scientifico). Mi chiedo se l’imputato sottintenda che lui, maschio, medico, è scienza, ragione, cultura, mentre lei, femmina, è natura, istinto, astratta, incapace, instabile. Un’altra sua frase chiarisce il concetto: “Imputo a Giulia una scarsa maturità nella vicenda. Era un po’ egoista. Lo diceva anche sua madre: mia figlia è una grandissima egoista”. Benché sia sedato, l’imputato continua a lapidare Giulia, anche se non c’è più. “Non l’ho manipolata, se l’avessi fatto saremmo ancora insieme”.  L’inquadratura dal fondo dell’aula stringe sul tavolo della Corte. La pila di faldoni delle prove contro l’imputato lievita ogni volta di più. Fermo fotogramma.
FINE.
Dall’udienza porto a casa altre frasi pronunciate da Padre Matteo.
La prima. La sua primogenita, la femmina, ha scritto, prima dell’inizio del processo, una memoria semplice, precisa e documentata, ‘Tutto quello che ricordo’. La memoria non è piaciuta al padre. “Si è sbagliata o ha riferito cose indotte”. Ergo: la figlia, sì, che è stata manipolata! Sia come sia, la bambina ha mancato alla regola del silenzio e presto potrebbe ricevere ufficialmente il suo “Stai zitta!”, come le altre donne della Famiglia.
La seconda frase:”Ogni figlio è diverso e i genitori hanno delle debolezze. L. mi legge nel pensiero o quasi”. L. è il suo secondogenito, il primo maschio.
La terza frase. La dottoressa D’Aniello ha brandito una lettera dell’imputato scritta dal carcere allo zio Giorgio dove gli raccomanda di seguire L. (il primo maschio) per continuare “l’impronta dei Cagnoni”.
Mi permetto un balzo sulla sedia.
L’impronta del Sangue, della Stirpe, quella da tramandare?
L’investitura dell’erede. Il primo maschio. Quello che porterà verso il futuro il cognome della Famiglia patriarcale. “Che emozione prova un uomo col primo figlio!”
La bambina invece, essendo femmina ha altri ruoli. L’imputato ha raccontato di una notte d’estate, di un bagno al mare, dell’entusiasmo dei bambini, del dispiacere che la mamma non fosse andata con loro. Perché? Chiede la femmina, e il padre: “Sai le donne ogni mese hanno le loro cose”. Le loro cose? Ancora lì, siamo? Ciclo? Mensile? Si chiamano mestruazioni, da un pezzo. Eppure, quante volte ancora oggi ci vien detto, quando siamo diverse dal voluto: cos’hai, le tue cose? Mestruazione è ancora sinonimo di sgradevolezza; rimanda all’idea di un corpo femminile impuro, contaminato, da svalutare, da nascondere, da allontanare, da isolare. E’ ancora un tabù. Eppure è un sangue. Ma è un sangue innominabile, un sangue che puzza e non fa Stirpe. Ce lo dice anche la pubblicità: il sangue, da sempre rosso, sull’assorbente diventa blu, un colore più nobile, più decoroso. Eppure le mestruazioni sono la risorsa in più che genera il corpo femminile. Da loro dipende la nascita di tutti gli esseri umani.
Invidia?