Ombre di un processo/24 di Carla Baroncelli

 

6 aprile 2018 – VENTUNESIMA UDIENZA – PROCESSO CONTRO MATTEO CAGNONI PER IL FEMMINICIDIO DI GIULIA BALLESTRI
‘Umana pietas’.
Parole alte.
Le ha dette oggi in aula un amico dell’imputato, a proposito di una lettera che questi gli ha scritto dal carcere in aprile del 2017. L’amico dichiara di essere “rimasto molto turbato”, e che solo per Natale gli ha risposto. Perché?
I due sono amici da trent’anni. Si vedevano tre, quattro volte l’anno, l’ultima il 4 di giugno del 2016 per una cena di compleanno. Il teste non sapeva che la coppia fosse in crisi, non ha notato nessun cambiamento. “Giulia e Matteo erano molto affettuosi fra loro, dopo tanti anni, si tenevano ancora mano nella mano, se lo faccio io con mia moglie, mi chiede se sono impazzito. Si vedeva che c’era molto affetto fra loro”. “Apparentemente!”, sottolinea il Presidente Corrado Schiaretti.
“Risposi sotto le feste, mosso da ‘umana pietas’, pensavo meritasse due righe di conforto”.
Lo rincorre la PM D’Aniello: “Mi scusi, la stessa pietas la sentiva anche per la famiglia Ballestri?”.
Risposta: “Non conoscevo nessuno di loro”.
“E’ andato al funerale di Giulia?”.
“No, era un rito collettivo”.
‘Umana pietas’ solo per l’amico, l’imputato. Dunque una pietas natalizia, per apparire buoni.
Nessuna ‘pietas’, neppure sotto forma di un petalo, per Giulia.
La parola ‘pietas’, non mi convince. Ultimamente viene molto usata, forse perchè suona più alta e nobile di una parola bassa come ‘pietà’.
Perché, poi, ricorrere al latino, lingua morta invisa a tutti, per dire ciò che possiamo dire in italiano con la parola pietà? La ‘pietas latina’ è in gran parte scaduta con gli dei. Per lo Zingarelli, pietà è il sentimento di compassione e commossa commiserazione che si prova verso le sofferenze altrui. In realtà, la parola pietà è spesso usata per manifestare un certo disprezzo morale. Non sarebbe stato fine dire “Matteo mi faceva pena, ho avuto pietà di lui”. Pubblicamente suona meglio ‘pietas’.
E allora, quanti di questi amici hanno sentito un po’ di ‘pietas’ per Giulia? Per lei e i suoi figli non ce n’é. La ‘pietas’ è riservata al Dottore. Anche se non è abbastanza intensa da farli andare in carcere a trovarlo, tenergli compagnia con lettere e messaggi. Portargli le arance, come si diceva un tempo. Compatire con lui, significa patire assieme a lui, non compatirlo. Come fosse un pulcino bagnato, da compatire. Senza colpa, Si insinua il dubbio di un raptus?
Sento puzza di ipocrisia, altro che ‘pietas’.
L’olezzo si spande viepiù durante le audizioni dei testimoni della difesa.
Sono stati ascoltati cinque amici dell’imputato. Un trionfo di pochezze. Amici che non sanno nulla l’uno dell’altro, nonostante decenni di cene. Nel gruppo di amici ci sono quelli che hanno il cognome o la professione conformi, sono conosciuti, e socialmente ben inseriti. Quelli che sono al posto giusto per concedere il patrocinio per la presentazione dei libri: “Aveva più attenzione per le istituzioni che per le persone”. Quelli da dimenticare quando finiscono il mandato istituzionale. Quelli ai quali raccontare bugie per non dire che sei fuggito a Firenze.
Arrampicandosi su un filo di bava, il difensore Trombini ha fatto domande secche da questionario al gruppo di amici di oggi.
Il Dottor Cagnoni era generoso? Sì. Era disponibile? Sì. Lei sapeva della crisi matrimoniale? No. Era possessivo? No. Era ossessivo? No. Era un manipolatore? No. Violento, aggressivo? No, no.
Come uno schiaffo, mi appare il volto di Giulia. Cancellato dall’odio.
Subito dopo l’imputato, occhi in fuori, che brandisce una carpetta rossa, mentre si scaglia contro la mamma di Giulia, appena scesa dal banco dei testimoni, urlandole epiteti offensivi.
“Com’erano i rapporti fra Giulia e il Dottor Cagnoni?”, chiede l’avvocato Trombini, sempre sottolineando il Dottor. Erano affettuosi, cordiali, si tenevano per mano. Se in pubblico appariva a volte indifferente e passiva, nelle cene da loro, Giulia era “una padrona di casa piacevolissima, ti faceva sentire a casa tua”. Svolgeva il suo ruolo alla perfezione. Era la moglie del Dottor Cagnoni. Ma nessuno di loro si interessava a lei più di tanto. Giulia era un arredamento casalingo?
Gli amici ascoltati in aula oggi, sono molto diversi da quelli interrogati qualche udienza fa. Quelli erano un altro gruppo di amici. Con loro si acquistavano carte telefoniche in comune, per andare a prostitute, senza destar sospetti alle relative mogli. A loro si son fatte ascoltare le imbarazzanti intercettazioni dei colloqui fra Giulia e il suo nuovo compagno. Loro sostengono l’amico al di là di tutto, anche se si defilano all’odore di un carcere.
Amici di sesso e amici di merende? Due gruppi distinti. Ma stessa logica, stesso affiatamento, stessa presa di distanza dall’imputato in carcere.
E se l’imputato confessasse il femminicidio di sua moglie?
In questo caso ‘l’umana pietas’ avrebbe un po’ più di senso? Non so. Stando alle prove, avrebbe ucciso sua moglie perché non lo amava più. In pubblico si tenevano per mano, per salvare le apparenze, forse lei gli voleva bene, come padre dei suoi figli, probabilmente non lo odiava, solo che non voleva più vivere con lui, voleva una vita diversa, senza controlli, manipolazioni, violenze. Voleva amare qualcun altro. Soprattutto non voleva essere solo la ‘moglie di’. Voleva una famiglia diversa.
Qualche giorno fa, la mia amica Elena ha scritto un commento ad Ombre di un Processo: “Ora dal mio riflettere affiora la parola “pietas” rivolta a questo uomo indifendibile. E’ una necessità, la mia, di riposizionare (un filino eh) il male da lui rappresentato, per indirizzarlo al marciume che ancora alimenta una certa idea di famiglia, e che ha reso lui stesso, una vittima. Non come Giulia, ovviamente. Ma è un marcio che va affrontato perché è nella società.”.
Elena sta parlando di ‘pietas’ per un carnefice, a sua volta vittima del “marciume che ancora alimenta una certa idea di famiglia”.
Non come attenuante verso chi uccide, ma un invito ad affrontare i femminicidi come un male strutturale della nostra società. Da curare ripensando alle relazioni fra uomo e donna, nella famiglia, nel lavoro, nelle scuole.
‘Pietas’? Mi aggrappo allo stato di diritto: chi uccide, se ne assuma la responsabilità e paghi le conseguenze.
Mi rimetto a Giustizia. Da non confondere col dilagante giustizialismo. Un giustizialismo che si fa parole, sui social così come al bar: ‘chiudetemi in una stanza con lui, e vedrete cosa gli faccio’, ‘in galera deve stare e si deve buttare via la chiave’, e via dicendo. Qualcuno vorrebbe persino aumentare la pena dell’ergastolo. (sic). Si dichiari ufficialmente: pollice verso, di romana memoria. Espressioni usate troppo di frequente. E’ come se pronunciandole, cercando quelle più velenose possibile, aumentando gli aggettivi peggiorativi, si abbia la percezione di avere fatto e ricevuto giustizia. Poi tutto finisce lì, lo sfogo spegne l’argomento. Si passa oltre.
Ma la Famiglia del Patriarca gli consentirebbe di confessare?
Il codice d’onore della Famiglia si basa sul concetto: si fa, ma non si dice. Poi si troverà una soluzione. Per ogni rampollo scavezzacollo delle varie Famiglie Patriarcali Italiane, alla fine è stato trovato un accomodamento, una scappatoia, una illustre detenzione, un riscatto, una ricollocazione. Chissà, potrebbe farsi avanti un grande editore, o un produttore cinematografico. Eppoi: conferenze in streaming dal carcere, da un ambulatorio specialistico dermatologico con le sbarre alle finestre. Sarà uno scrittore di best seller. Qualche premio letterario la Famiglia lo troverà. L’onore sarà salvo e gli allori pioveranno comunque. Tutto è possibile. Solo se non confessa.
Mi par di sentire un mantra evaporare dal marciume: “Zitto, stai zitto, zitto, stai zitto”.