OMBRE DI UN PROCESSO/27

di Carla Baroncelli

4 maggio 2018 – VENTIQUATTRESIMA UDIENZA – PROCESSO CONTRO MATTEO CAGNONI PER IL FEMMINICIDIO DI GIULIA BALLESTRI

Oltre alle Ombre di un Processo, che cercano il perché del femminicidio di Giulia Ballestri, oggi in aula sono comparse le Ombre Ascientifiche, per ricostruire il come si siano svolti i fatti.
Il film proiettato oggi s’intitola infatti OMBRE ASCIENTIFICHE.
Con l’aiuto di comparse e materiale di scena, l’autore ha comparato le immagini delle videoregistrazioni della polizia giudiziaria con le sue, riprese con una telecamera acquistata per l’occasione, nelle stesse location dei film precedenti, anche se da angolature che falsano la prospettiva.
Ravenna, Villa del Nonno.
Firenze, Villa del Padre.
La Via Patriarcale al Potere.
Buio in aula. Titolo: Ombre Ascientifiche.
Il soggetto è di Matteo Cagnoni.
La regia è dell’ingegner Donato Eugenio Caccavella, docente universitario di informatica forense, consulente tecnico della difesa.
E’ un colossal di ricostruzione storica, prodotto dal Patriarca della Famiglia Cagnoni.
Budget illimitato. Scena prima. Ravenna, via Genocchi, esterno giorno. In sovraimpressione: il giorno prima del femminicidio, alle 15.16. Una Chrysler Voyager nera è ferma davanti alla Villa del Nonno, per otto minuti. Allunghiamo gli occhi: par di vedere una figura che si muove. “Non è sceso nessuno da quell’auto”, è la scientifica affermazione del regista Caccavella: “Se vede qualcuno è una sensazione sbagliata”. Quindi: visto che nessuno è sceso, il bastone per colpire e l’acqua distillata per pulire non sono stati portati nella Villa in quel frangente.
Scena seconda. Stessa inquadratura. Il 16 settembre 2016, il giorno del femminicidio, alle 10.59. Cagnoni sale sull’auto in sosta davanti alla Villa del Nonno, ma “Non scende, non sale e non carica nulla sulla Mercedes”. Quindi: il dottor Cagnoni è rimasto per un minuto in macchina a guardare dallo specchietto retrovisore Giulia allontanarsi voltando le spalle al loro matrimonio, come ha ben descritto lui stesso in una scorsa udienza.
Scena terza. Firenze, Villa del Padre, esterno giorno. Il pomeriggio del femminicidio. Cagnoni trasporta un oggetto bianco trapezoidale contenuto in un sacchetto semitrasparente. Non c’è trucco non c’è inganno, l’Ingegner Caccavella: “Non è la borsa della signora Ballestri, è un camice piegato, non c’è nessuna catenella che luccichi, la catenella della borsa è solo la martingala di un camice”. Quindi: “La sperimentazione conforta la dichiarazione di Cagnoni”, ed estrae un camice bianco, da mettere fra le prove.
Questo è troppo. Il Presidente della Corte, Corrado Schiaretti, accende la luce e, come se dicesse a se stesso, Mi oppongo, sbotta: “Perché quel trapezio bianco può essere un camice e non una borsa? Di scientifico qua non c’è niente”.
Serve una pausa caffè.
Tono pacato al rientro, che si riaccende man mano che l’Ingegnere declama versi contro la Procura: “E’ stata fatta una lettura superficiale dei tabulati telefonici, le indagini di polizia giudiziaria sulla Chrysler sono metodologicamente scorrette, c’è la prova dell’inaffidabilità del sistema informatico in uso alla procura di Ravenna e la relativa inutilizzabilità delle intercettazioni”. No, no, stoooop, il Presidente zittisce tanto livore rivolgendosi all’avvocato Trombini: “Il suo consulente rischia di andare a giudizio”. Falsa perizia? Poi alza il tiro della sua implacabile ironia e aggiunge un’inquadratura magistrale: “Sono disposto ad ascoltare di tutto, ma quando si arriva agli asini che volano, non mi va più bene”.
Il consulente insiste indefesso: “Se si vede qualcuno che si muove, quel qualcuno è frutto di una compressione delle immagini”. Le immagini frizzano, sfrigolano, così che si possono creare dei veri e propri “miraggi”, ammette lo stesso Caccavella. Asini che volano, è solo un esempio.
Stancamente si susseguono altre scene, ma l’attenzione è intorpidita.
Prima della fine del film si riaccendono le luci in aula. Lo schermo non frizza più.
Seduta stante s’alza l’avvocato Scudellari. Chiede alla Corte che la relazione del tecnico Caccavella non venga acquisita agli atti. Cestiniamo? La Corte si riserva la decisione fino al prossimo venerdì.
All’uscita, il mio amico direttore della fotografia mi dimostra l’impossibile comparazione delle immagini, riprese da due telecamere diverse per usura, in tempi diversi, con luci esterne impossibili da ricreare in post produzione, men che meno senza che sia stato fatto ogni volta il bilanciamento del bianco, per regolare la temperatura colore. La sua conclusione: non si può leggere nelle immagini ciò che non c’è, ma non è detto che ciò che non si vede non ci sia.
Professor Ingegnere Informatico, con tutto ciò che deve aver speso il Patriarca Padre, ci si aspettava che dalle Ombre Ascientifiche scaturisse una Verità quanto meno credibile. L’unica certezza è un metro e mezzo di relazioni a colori distribuite in fascicoli alle parti in causa. Ma l’informatica non doveva sostituire la carta in difesa delle foreste? Ma tant’è, paga papà.
E l’Ombra di un Processo di oggi? E’ una risposta data dal Professor Ingegner Caccavella, alla Dottoressa Cristina D’Aniello, la PM, fra l’ilare e il faceto: “Se questa domanda me l’avesse fatta una delle mie studentesse, non l’ammetterei”. Risatina del Presidente. Sferzata della PM: “Io non sono una sua studentessa, rappresento la pubblica accusa nel processo in cui è imputato Matteo Cagnoni”. “Risponda alla domanda!”, va al sodo il Presidente.
Se la PM fosse stata di sesso maschile, il Professor Caccavella avrebbe fatto la stessa irriverente osservazione? E l’avrebbe fatta al Presidente della Corte?
I pregiudizi sono duri da sradicare, anche se si indossa una toga. Mi è venuto in mente un convegno dello scorso novembre, ‘Tra genere e diritto: riflessioni e spunti per un approccio differente al sistema giuridico’, organizzato a Ravenna dalla Casa delle donne e dall’Udi, che in questo processo si è costituita parte civile. Fra le trascrizioni, ho trovato una frase di Paola Di Nicola, giudice presso il Tribunale penale di Roma, sugli stereotipi di genere: “Ci hanno insegnato che l’appartenenza di genere una volta entrati nelle istituzioni, non ha alcuna incidenza, ma non è così. Non è così perché l’appartenenza a un genere fa la differenza e lo sperimentiamo ogni giorno nel nostro lavoro”.
Ancora oggi la maggioranza delle magistrate viene relegata in pool che si occupano di persone deboli, minori e famiglia. Gli stereotipi sono ben piantati in donne e uomini. Il patriarcato si pasce di donne che lo nutrono. Ma le cose evolvono ed è bene porci attenzione.
Per secoli le donne sono state escluse dalla magistratura, alle quali ‘alle volte l’equilibrio difetta per ragioni anche fisiologiche’, cioè sono instabili per via delle mestruazioni. Le donne furono pienamente ammesse solo nel 1963. Nel 2012 erano già il 46 per cento dei magistrati italiani. Forse perché per diventare magistrati si deve studiare tanto, superare un concorso difficilissimo, e non si è scelti o eletti da qualcuno? Comunque sia, dentro il luogo maschile per eccellenza, perché deputato alla conservazione dell’assetto precostituito, è entrato un punto di vista finora negato, nascosto. La percezione, la sensibilità, il coinvolgimento emotivo, le intuizioni sono le risorse nuove e diverse che hanno portato le magistrate nei processi.
In questo processo, la lettura della realtà è più completa e ricca perché frutto di un confronto tra magistrati uomini e magistrati donne.
In un passo del libro La giudice, una donna in magistratura, della stessa Paola Di Nicola, leggo: “Ogni toga ha un minuscolo segno di distinzione che solo chi la possiede può riconoscere. Dentro c’è un modo diverso di essere magistrato, di esercitare e concepire la propria funzione, di interrogare gli imputati, di salutare entrando nell’aula. Di ascoltare e di sentire. La toga traveste e nasconde. E la maschera e la divisa; la trasformazione e la regola”.
Per risollevarmi dalla seduta di oggi, durata undici ore, ripenso agli asini che volano e a una frase scritta in una delle slide della relazione presentata dal consulente Caccavella: “Siediti sulla riva del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico”. E’ rimasta fissa sullo schermo diversi minuti, senza un perché.
Non voglio scomodare Confucio, Mao, né Lao Tzu per l’interpretazione scientifica della citazione, lo chiedo direttamente a Caccavella.
Che c’entra il cadavere e chi è il tuo nemico?
Non è necessaria una sensibilità femminile per raccapricciare.
E’ sufficiente restare umani.
Anche per Giulia.