Corte d’assise d’appello, Bologna, 25 e 26 settembre 2019
di Carla Baroncelli
Sintesi delle due giornate
L’imputato non si presenta all’udienza perché sta male, ma nella documentazione clinica dell’ultimo mese del carcere di Ravenna: Cagnoni è lucido, ben orientato, energico con disforie secondarie da carcerazione. Respinta la richiesta di essere trasferito nella clinica Villa Azzurra di Riolo Terme.
Respinta la richiesta della difesa di perizia psichiatrica in via assolutamente preliminare e pregiudiziale probatoria per accertare la capacità di intendere e di volere dell’imputato al momento del femminicidio, tre anni fa.
Conferma della condanna all’ergastolo inflitta in primo grado: omicidio volontario aggravato da premeditazione e crudeltà.
Le motivazioni della sentenza fra 60 giorni, dopo di che la difesa dell’imputato deciderà se presentare ricorso alla Suprema Corte di Cassazione.
PAROLE CHIAVE: dominio, vizio culturale di mente, cultura suprematista
Corte d’Assise d’appello di Bologna, 25 settembre 2019.
Sezione prima. Nell’aula dedicata a Vittorio Bachelet, ucciso dalle Brigate Rosse nel 1980. Sotto gli occhi di marmo di quattro giovani militi romani posti ai lati. Sotto un obeso lampadario di cristallo dalla luce fioca. Fra pareti e soffitti coperti di pizzi, merletti cesellati color bianco usato. Con due gabbie di ferro battuto ai lati per gli imputati. Entra la Corte presieduta dal giudice Orazio Pescatore, con a latere la giudice Luisa Del Bianco e una piccola schiera di giurati.
In primo grado, a Ravenna, avevamo applaudito, senza rumore alcuno, la PM Cristina D’Aniello, nel momento in cui ha riconosciuto che l’uccisione di Giulia Ballestri da parte del marito era un femminicidio. E’ una donna, ho pensato, una donna coraggiosa che ha portato in un’aula di giustizia la violenta sopraffazione e la feroce punizione di una donna che non è voluta sottostare al marito che la pretendeva sottomessa e vuota.
Oggi, in quest’aula imponente, è stato un uomo ad affidare alle proprie parole il compito di svelare perché Matteo Cagnoni ha ucciso Giulia Ballestri, sua moglie, che non lo voleva più.
Sottolineo, per sfatarlo, il pregiudizio che vuole che le stesse parole, pronunciate da una donna valgano meno di quelle dette da un uomo. Ciò che serve per l’eliminazione della violenza maschile sulle donne, è che gli uomini non stiano a proteggerci le spalle, perché ci ritengono ‘sesso debole’, ma che stiano al nostro fianco e prendano posizione e parola pubblica. La battaglia deve essere condotta da donne e uomini, perché riguarda la cultura che regge la relazione fra donne e uomini. Tutte e tutti dobbiamo chiederci: perché gli uomini violenti uccidono le donne che dicono di amare?
Oggi, quest’uomo è il Procuratore Generale Gianluca Chiapponi: “Alla base dell’agire di Matteo Cagnoni c’è un vizio di mente, ma non di origine psichica, bensì di origine culturale. L’omicidio di Giulia Ballestri riproduce episodi sempre più frequenti che appartengono ad una cultura del dominio. Ogni tre giorni un uomo uccide una donna perché non si conforma al suo volere, perché vuole quella donna alle sue condizioni. Io credo – sottolinea – che la giurisprudenza debba finalmente prenderne atto.”
Nel silenzio si sentono sussurrare le voci del Coro delle Donne Uccise.
CORO: l’origine culturale … la cultura del dominio … la giurisprudenza deve finalmente prenderne atto.
Come se si fosse spalancata una finestra, una ventata solleva un velo: l’Ombra di Giulia entra nell’aula Bachelet. La conduce per mano il PG Chiapponi, che traccia la sua storia:
“Giulia si era stancata di dover recitare la parte della donna felice, della moglie compiacente, in un rapporto dove c’era solo l’apparire, di dover pagare il debito coniugale, di sentirsi chiedere se per caso fosse diventata lesbica. In fondo a quel tunnel, nel buio è avanzata una luce, un amore dal quale ripartire con nuove emozioni e speranze. Cagnoni anziché farsi delle domande sulla crisi di coppia, ha manifestato la sua cultura suprematista alla quale la donna deve sottostare”.
CORO: la stessa cultura suprematista che ha guidato chi ha ucciso ognuna di noi … la donna deve sottostare o morire
Ma non basta e il PG continua: “Cagnoni è incapace di ascoltare le decisioni di Giulia, incapace di elaborare l’abbandono. Incapace di perdere lo scettro del comando. Quella donna è di sua proprietà. E’ un disonore essere lasciato. Giulia è Cassandra del proprio destino”.
GIULIA: L’ho disonorato, mi ucciderà.
Quaranta giorni prima del suo femminicidio, Giulia invia a Stefano, la sua luce in fondo al tunnel, il messaggio “L’ho disonorato, mi ucciderà … – ripete il PG rivolto alla Corte – Queste parole sono una testimonianza a futura memoria che non potete ignorare. In due parole, Giulia, ha descritto la matrice culturale di quello che sarà il suo omicidio. Le sentenze si pronunciano in nome del popolo italiano, i giudici sono la bocca dello Stato. Nelle sentenze è lo stato che parla. Lo stato che non legittima certi comportamenti. Non legittima la cultura del dominio”.
L’occhio mi scappa sulla scritta sopra la testa dei giudici della Corte, in grassetto, scolpita sulla pietra: La legge è uguale per tutti.
CORO: la cultura di genere deve entrare nelle aule di giustizia …
Per affossare le richieste della difesa dell’imputato di cassare l’aggravante della premeditazione dalla condanna all’ergastolo comminata dalla Corte d’Assise di Ravenna, il PG lascia campo alle parole di Giulia, contenute nel messaggio a Stefano del 3 settembre.
GIULIA: Ha detto che ha un programmino, ma quando gli chiedo quale, non me lo dice. Dice che devo portargli rispetto per un mese perché l’ho disonorato
“Giulia ha ancora un barlume di speranza” riflette il PG.
CORO: Il marito l’ha messa alla prova: se spegne la sua luce in fondo al tunnel, non la ucciderà …
Il PG riprende: “Ma Giulia non ci sta a interrompere la relazione col suo compagno”.
Gli investigatori scoprono che Giulia e Stefano si vedono ancora e quindi “non c’è più speranza: l’omicidio è deciso”. Giulia scrive a Stefano.
GIULIA: Ho discusso fino a tardi per te. Ha detto che fra un po’ mi lascia libera.
Fra un po’ mi lascia libera … due giorni dopo: venerdì 16 settembre 2016.
Il PG, dolcemente come se la vedesse vicina a sé: “Giulia è una donna buona e si lascia convincere”.
Si lascia convincere a seguire il marito nella Villa del Nonno per fotografare ancora una volta dei quadri.
CORO: … Giulia si lascia convincere … l’ultimo appuntamento … ma non lo sa … come si fa a saperlo?
Mi par di sentire il suo pensiero, quasi felice: una fotografia al quadro e poi via … qualche minuto ancora poi basta … libera …
Ma è proprio in quel secondo, lì nel ballatoio, che il marito le impone un ultimatum. Una scelta fra inseguire una luce o tornare nel tunnel.
Lei ascolta, con quel tetro quadro in mano, sa qual è la sua condanna.
Ancora una volta Giulia, lucida e consapevole, se ne assume la responsabilità: dice di no e sceglie la luce.
L’orrido quadro raccoglie i primi schizzi del suo sangue.
CORO: … siamo Ombre perché abbiamo difeso con un no il nostro diritto di scegliere la vita che volevano
Poi la crudeltà compie la definitiva distruzione per “infliggere una sofferenza ulteriore, che deve essere gratuita. – dice il PG – L’uccisione di Giulia è rivelatrice di malvagità.”
Mi vengono in mente le parole della PM di Ravenna, Cristina D’Aniello, nella requisitoria di primo grado: “Voleva spaccare quella testa, eliminare quel volto, eliminare Giulia Ballestri”.
La nudità di Giulia, il corpo fracassato, il volto irriconoscibile. L’ultima umiliazione inflitta a Giulia.
“Non è un agire dissociato. – è il Procuratore Generale a dirlo – Che bisogno c’era? Qui c’è tutta la cultura dell’uomo che la vuole nuda, come una donna di strada”.
CORO: … siccome il viso di Giulia non sarà più suo, non sarà di nessun altro … Giulia resta nuda come una donna di strada …
Il dottor Chiapponi sorpassa l’inquadratura di quel viso cancellato e prosegue il racconto. Dopo il femminicidio.
Dopo è tutto un altro film. Il Procuratore Generale: “In tutte le decisioni importanti è presente il Padre, Mario Cagnoni”. Decisioni concordate in famiglia sotto lo scettro del padre: dopo che il Figlio Minore, ha fatto giustizia in nome dell’onore, bisogna salvarlo. Farlo costituire, e contare su un rito abbreviato? Trent’anni riducibili fra certificati medici e buona condotta, fino a restare in una cella sedici anni riducibili a dodici. Oppure aiutare il Figlio Minore: vieni subito a Firenze coi bambini, dicendo che tua madre sta poco bene; poi domani vai a pulire e magari cambi scarpe per non lasciare le tue impronte, magari ti metti le mie, così la polizia si confonde e penserà che ci fossero due persone; ti porti delle bottiglie d’acqua per cancellare le tracce più grosse; poi vediamo se da Bologna parte un aereo per un paese dove non ci sia l’estradizione; chiama subito Giovanni, sì Trombini; intanto diciamo alla mamma che, se poi qualcuno le chiede qualcosa, dica che Giulia è stata uccisa da albanese o un acrobata; poi, con calma, lunedì troviamo il modo di far sparire corpo e tracce dalla cantina.
Lo so, questa ricostruzione non vale niente, perché non si persegue penalmente un genitore che si fa complice del figlio, che mente per lui. Un genitore impunibile per il suo ruolo di padre.
CORO: … la cultura patriarcale si nutre di complicità maschili … di supposte impunità … di ritenersi talmente potenti da essere superiori alla giustizia stessa ed essere impunibili.
All’inizio gli è andata bene, Cagnoni ha avuto la “bonne chance di non essere stato visto da alcuno”, il giorno dopo il femminicidio, quando torna a Ravenna nella Villa del Nonno. Poi tutto va a rotoli: le telecamere di videosorveglianze lo riprendono a Ravenna e a Firenze, mentre scarica numerosi sacchetti dall’auto. Padre e Figlio sono medici non rapinatori o spacciatori.
La domenica notte la polizia lo cerca a Firenze. Il Padre: io porto l’auto sul retro, Matteo scappa e fuggi. Troppo tardi. Un tuffo dalla finestra lo tradisce, maledetta telecamera. Sono innocente, dice e dirà sempre. Incalza il dottor Chiapponi: “Questi comportamenti non dimostrano un agire dissociato, ma complicità. Alla base dell’agire – ripete il PG – c’è un vizio di mente culturale e quel vizio va esteso al padre”.
CORO: nel loro delirio patriarcale certi uomini si sentono più forti della legge.
Le ultime parole del Procuratore Generale: “Chiedo la conferma dell’ergastolo”.
Applaudo dentro di me e oso per un ulteriore passo in avanti: grazie dottor Gianluca Chiapponi per la sua requisitoria, per aver sottolineato le parole dominio, vizio culturale di mente, cultura suprematista. Di come onore vilipeso e delitto d’onore appartengano ad una mentalità arcaica.
In quest’aula è stata protagonista la vittima e i motivi della sua uccisione, ma non solo: E’ entrata in quest’aula anche la cultura patriarcale che si ritiene impunibile.
Per la lode e il bacio accademico, dottor Chiapponi, bastava che avesse portato in aula, oltre al concetto, anche la parola Femminicidio. L’uccisione di una donna in quanto donna.
Al fianco di Giulia si dispongono le Parti civili, per le quali la difesa aveva chiesto l’estromissione dal Processo e quindi da ogni risarcimento. La Corte d’Assise d’appello ha respinto la richiesta. E così le ascoltiamo.
Per la parte civile del Comune di Ravenna, l’avvocato Enrico Baldrati parla di uxoricidio allargandolo al femminicidio e ci ricorda l’articolo 2 lettera E dello Statuto comunale per contrastare la violenza di genere. Cristina Magnani, avvocata di Linea Rosa, ricorda la dichiarazione dell’OMS sull’importanza che la giurisprudenza si uniformi all’analisi dell’intero contesto in cui maturano i femminicidi. il contrasto alla violenza di genere deve essere messa tra i valori intangibili della società civile”. Antonella Monteleone, a nome dell’Associazione dalla parte dei minori: “Siamo qui perché esercitiamo un diritto”.
CORO: dal 2000 al 2014 sono stati 1600 gli orfani, bambine e bambini, per lo più minorenni che sopravvivono al femminicidio … vite irrimediabilmente sconvolte
Sonia Lama, l’avvocata che rappresenta l’UDI, alza il tiro e introduce in aula la parola stalking. Si riferisce alla sentenza Paduano per il processo d’appello bis. Sara Di Pietrantonio, di 22 anni, ex fidanzata di Vincenzo Paduano, che l’ha strangolata e data a fuoco nel 2016. Il processo di primo grado si concluse con l’ergastolo. In appello la condanna fu ridotta a 30 anni. Ma la Cassazione ha rinviato tutto indietro perché venisse riconsiderata la pena, tenendo conto che l’omicidio è stato preceduto da anni di stalking: vale a dire da persecuzioni protratte nel tempo, contando anche quelle ‘invisibili’, che non fanno finire al pronto soccorso, cioè i maltrattamenti psicologici ed economici, le sopraffazioni, le intimidazioni, il controllo pressante, il turpiloquio che hanno in comune coi femminicidi l’esercizio del potere padronale inteso come un diritto assoluto sulle donne.
CORO: la verità può essere trovata solo con il coraggio di guardare a fondo nelle dinamiche del rapporto uomo donna.
Dalla primavera del 2015 Giulia subiva stalking da parte di suo marito. E qualcuno parla ancora di raptus….
CORO: … raptus, tempeste emotive, troppa passione, accecante gelosia … o incapacità di intendere e di volere dell’uomo nel momento in cui uccide la donna.
26 settembre ore 9 e 30, prende la parola l’avvocato dei familiari di Giulia, Giovanni Scudellari. Anche lui a fianco di Giulia: “Giulia l’ho conosciuta così, in quella foto della sua faccia sbriciolata”. Poi ricostruisce gli atti persecutori di Cagnoni contro Giulia che duravano da più di un anno, il suo agire da padrone, il motto dell’imputato “Sii bella e stai zitta”. Scudellari ricostruisce la vendetta del marito che non si accontenta di uccidere la moglie ribelle con un bastone. “In due minuti con quel tronco avrebbe potuto rompere la testa ad un toro”. La uccide lentamente “la sua sofferenza è piacere e più lei soffoca più lui si sente leggero. Come ti sei permessa? Di lasciarmi, di avvicinarti ad un altro, di dire che l’odore della mia pelle ti fa schifo?” Anche Giovanni Scudellari, come Sonia Lama, invita la corte a non sottovalutare gli atti persecutori che hanno preceduto l’omicidio.
CORO: … la storia di Giulia è la storia di tante di noi, iniziate con una relazione che sembrava d’amore e d’affetto e che invece si trasforma in un inferno …
L’avvocato difensore di Matteo Cagnoni, Gabriele Bordoni, ad una certa distanza dal gruppo delle Ombre e da Giulia: “L’aiuto sociale e culturale si fa fuori dalle aule di giustizia”. Insiste nel chiedere una perizia psichiatrica di approfondimento “per arrivare alla verità” sulle condizioni dell’imputato, per accertare se al momento dell’omicidio fosse capace di intendere e di volere. Ribadisce: “Non è Cagnoni il colpevole. E’ un uomo di successo, al centro della mondanità, attrezzato, maturo”. Conclude poi che “un vizio di mente di natura culturale non è penalmente rilevante”.
CORO: ci vorranno ancora molte altre sentenze che riconoscano e puniscano la violenza invisibile nelle relazioni prima che le donne vengano uccise.
Dopo appena tre ore di camera di consiglio, la Corte d’Assise d’appello di Bologna pronuncia la sua sentenza: conferma l’ergastolo di Matteo Cagnoni per aver ucciso volontariamente Giulia Ballestri con premeditazione e crudeltà.
L’aula ascolta senza gioia alcuna.
All’uscita, la dichiarazione del Procuratore generale: “Non ho mai espresso soddisfazione per la condanna di un uomo, perché una condanna significa privazione della libertà. Posso però esprimere soddisfazione per il lavoro della Procura di Ravenna e per l’operato della Procura generale di Bologna”.
Gli fa eco l’avvocato Giovanni Scudellari: “Ogni sentenza di questo processo è uno strazio perché è una ferita che si riapre”.
Tutti ce ne andiamo, ma le Ombre restano lì. Parlano fra loro: dopo questo secondo ergastolo, Matteo Cagnoni deve essere allontanato da Ravenna, trasferito in un penitenziario idoneo alla sua pena; sessanta mila donne e uomini hanno firmato l’interpello presentato dalle associazioni femminili al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di Roma, oltre sei mesi fa. Non c’è stata ancora alcuna risposta.
CORO: … e noi continueremo a dire di no.