ALLA MINISTRA DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA
AL PRESIDENTE DELL’ANCI
AI PRESIDENTI DELLE REGIONI
Il Governo, già da tempo, si è impegnato a fornire nel più breve tempo possibile indicazioni e disposizioni per la ripresa di tutte le attività lavorative ed economiche, ad eccezione però di quel tassello che costituisce da sempre il fondamento e il cardine del progresso e dello sviluppo di tutte le società: la scuola.
È stato già rilevato come l’emergenza COVID-19 abbia riportato alla ribalta i limiti dell’attuale impianto del sistema scolastico italiano, un sistema di certo incapace di far fronte, con tempestività, ad una crisi nazionale.
Le donne, insieme ai bambini, sono state le prime chiamate in causa a sostenere e coordinare la nuova situazione che ha necessitato di ridefinire spazi e modalità in tutti gli ambiti di vita, a partire da quello familiare.
In questo contesto di difficoltà oggettive, alimentate dalla confusione e dalla scarsità delle informazioni riguardanti le modalità di avvio del prossimo anno scolastico, esprimiamo seria preoccupazione per il futuro della formazione nel nostro Paese.
A nostro avviso la scuola non solo deve riaprire a settembre, garantendo le misure di sicurezza per tutta la popolazione scolastica, ma deve essere all’altezza delle sfide del presente e del futuro. A tal fine, dobbiamo fare in modo che questo periodo di obbligata chiusura sia stata un’occasione di una proficua riflessione.
La pandemia ha mostrato l’importanza di attività e valori umani: la cura, la solidarietà, la relazione, l’interdipendenza, trascurati, se non cancellati, dalla logica ferrea del mercato e ha reso evidente la complessità del presente, i pericoli insiti nella globalizzazione e l’insostenibilità di un modello di sviluppo che mette a rischio la vita. Da più parti si afferma che si debbono trovare strade nuove per un necessario “cambio di civiltà” e di conseguenza assumono un ruolo fondamentale la formazione, il sapere e la ricerca.
Come associazione che da sempre ha avuto un’attenzione particolare nei confronti della sua rilevanza sociale, riteniamo che la scuola meriti quella cura che si dovrebbe riservare alle questioni complesse e determinanti, che interessano e coinvolgono tutte e tutti e stanno alla base del vivere civile democratico, per come scegliamo che esso sia.
Le/i nostre/i docenti sono tra quelle/i con le più basse retribuzioni in Europa e molte scuole sono non sicure, edificate senza attenzione ai criteri antisismici, con diverse carenze sia nelle strutture portanti, sia negli impianti; così come sono numerosi i casi in cui non sono state adottate misure per l’abbattimento delle barriere architettoniche. Un sistema, quindi, che non poteva fare fronte a una crisi nazionale come la pandemia e su cui si deve intervenire con la stessa attenzione che si avrebbe nei confronti di un bene prezioso come la salute.
Noi siamo convinte che si debba procedere in direzione opposta a quella seguita nel passato, segnata dalla volontà di diminuire il tempo scuola. Occorre infatti non meno, ma più scuola! Una scuola a tempo pieno, aperta, che sia anche luogo d’incontro, in cui potere organizzare oltre le ore curriculari, attività culturali, artistiche, sportive e che diventi punto di riferimento non solo per le/i giovani ma per i quartieri relativamente alle problematiche dell’infanzia e giovanili.
L’emergenza ha avuto tra i suoi primi effetti la chiusura della scuola di ogni ordine e grado ed è stata affrontata con la didattica a distanza (DAD), una didattica di emergenza che ha coinvolto in un modo senza precedenti gli/le alunni/e, il personale insegnante e le famiglie, uno sforzo incredibile che ha palesato il valore della didattica in presenza e l’utilità di usare in modo competente la tecnologia, ma anche numerose criticità. Scavalcando l’entusiasmo iniziale per la DAD, infatti, i dati locali sul divario digitale e sulle possibilità reali delle famiglie e delle scuole ci illustrano una discriminazione di un numero consistente di studenti, di alcune regioni in particolare.
Esiste un divario reale per moltissime famiglie, soprattutto al Sud: che va dalla indisponibilità di sufficienti devices, all’assenza di copertura della banda larga su tutto il territorio; dalla mancata possibilità di utilizzare fibra e giga illimitati alle scarse competenze tecnologiche di genitori che dovrebbero essere di supporto nella DAD; dalla formazione e competenze di docenti non al passo con le necessità contingenti, alle scarse competenze di studenti che sono nativi digitali solo per dato anagrafico. L’inclusione nasconde ancora molte zone d’ombra, così bambini e ragazzi con bisogni educativi speciali sono stati particolarmente penalizzati.
Esiste pertanto un reale gap che, con la chiusura delle scuole, si è concretizzato in una lesione del diritto alla scuola e allo studio che riteniamo non possa passare inosservato ma debba essere sanato, affinché tutti i bambini e i ragazzi riacquistino la stessa opportunità di costruire il proprio futuro su solide basi di saperi e conoscenze capaci di fare la differenza, sia per la singola persona che per tutta la collettività.
La DAD, dunque, può funzionare solamente a condizione che non sia esclusiva ma strumento integrativo della didattica in presenza, e comunque tenendo presenti le necessarie implementazioni tecniche atte a non creare disuguaglianze. Sarebbe un grave errore pensare che possa essere sostitutiva della didattica in presenza, perché qualsiasi processo educativo implica la reciprocità della relazione e non può prescindere dalla dimensione emotiva, corporea e persino inconscia dell’incontro. La scuola, come Lei sa bene, non è solo lezione frontale, ma uno spazio condiviso di pratica democratica e di apertura verso il mondo. Favorisce il rapporto con la società esterna ed è il primo banco di prova relazionale al di fuori della famiglia, soprattutto per i più piccoli.
Inoltre, non ci convince nella scuola dell’obbligo la frequenza a giorni alterni per metà della classe, che determinerebbe un’ulteriore compressione dei tempi sia di apprendimento per gli alunni, sia di lavoro per i loro genitori, con un inevitabile impoverimento delle famiglie e penalizzazione del genitore economicamente più debole, nella maggior parte dei casi la donna.
Ebbene, all’interno dell’erronea e insensata visione gerarchica piramidale della formazione, la scuola di base non ha il riconoscimento che dovrebbe avere, ecco perché va fatto ogni sforzo non solo per riaprire a settembre ma per valorizzare adeguatamente questo ciclo non tenuto finora nella giusta considerazione. Basti pensare che in Italia solo il 24% di bambini frequentano asili, di cui la metà quelli privati: questo si ripercuote anche negativamente sulle donne che, se non supportate dalla famiglia, mariti, compagni o nonni, sono spesso costrette a estenuanti gincane o a lasciare il lavoro.
Noi riteniamo che quanto attiene alla scuola, includendo i nidi, non possa essere derubricato a “questione femminile”, ad ambito riguardante esclusivamente le donne, ma che debba essere considerato una questione inerente la genitorialità nel suo complesso e che non possa gravare sul welfare informale e sulle donne in particolare.
La pandemia, lo ripetiamo, che è una sfida terribile deve essere anche occasione di un ripensamento profondo che ci permetta di migliorare il nostro sistema scolastico su cui lo Stato deve mantenere il controllo in modo da assicurare un’offerta formativa omogenea in tutto il paese. In che modo gestire l’emergenza in funzione della conclusione dell’anno scolastico è ormai deciso. La questione da non perdere di vista e sulla quale concentrarsi, a partire da oggi, è a nostro parere molto più grande ed importante e necessita, da parte di chi sta al governo, di grande coraggio e lungimiranza.
È indubbia infatti la necessità di ridurre drasticamente il numero di studenti per classe facendo diventare solo un brutto ricordo le cosiddette classi pollaio. Questa riduzione conduce necessariamente all’assunzione di nuovo personale, in numero consistente, precario e per titoli, tentando per quanto possibile di evitare gli esodi interni delle/dei lavoratori da sud a nord. Studenti dimezzati per classe e nuovo personale assunto necessitano a loro volta di ulteriori spazi, messi in sicurezza e sanificati, da ristrutturare se necessario subito o da reperire, immaginiamo, tramite uno stretto coordinamento tra Enti e Istituzioni nazionali e locali, nell’ambito di strutture inutilizzate o destinate ad altri usi.
Riteniamo dunque che per riaprire a settembre, garantendo la sicurezza, senza pregiudicare, anzi innalzare la qualità della offerta formativa, bisogna immediatamente lavorare per:
- classi dimezzate rispetto alle attuali, con un numero limitato di alunni/e in base anche alla grandezza delle aule;
- assunzione immediata di nuovo personale (evitando gli esodi interni delle/dei lavoratori da sud a nord);
- requisizione di spazi pubblici inutilizzati da destinare all’aumento delle classi e dei laboratori;
- sanificazione e messa in sicurezza degli edifici scolastici.
Solo un’ottica programmatica di lungo periodo può davvero mettere le basi per un futuro migliore per le nuove generazioni e, conseguentemente, per il nostro Paese.
UDI- Unione Donne in Italia